Categorie: Editorial
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“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.”

È il 1972, e Italo Calvino immagina un dialogo tra Marco Polo – di cui ricorre, in questo 2024, l’anniversario dei 700 anni dalla sua scomparsa – e il gran Kublai Khan. Da qui, Le città invisibili: città materne, dai nomi antichi, immaginifiche. Città che rispondono alle domande dell’imperatore tartaro, così come noi, regnanti di noi stessi, dovremmo chiederci: quale sarà la città del futuro?

Risposta anti-climatica: sostenibile. Anticlimaticità che si palesa nella situazione di stallo che si perpetra in Italia. Secondo il report 2023 di Legambiente sull’Ecosistema urbano, la crescita in termini di sostenibilità è lenta e altalenante. La media italiana di 66,6 auto per 100 abitanti è tra le più alte d’Europa (57 su 100); i viaggi su trasporto pubblico sono passati da 97 annuali pro-capite del 1995 ai 65 del 2022. Conforta il dato sulle piste ciclabili: da una media di 0,16 m equivalenti/100 abitanti del 1998 a 10,59 m nel 2022, mentre per quanto riguarda la metratura delle isole pedonali, fa impressione come città quali Lucca e Venezia abbiano a disposizione rispettivamente 682,6 mq e 528,2 mq ogni 100 abitanti, e poi vi sia un crollo alla terza posizione con Verbania (217,1 mq), Rovigo (190,5 mq) e poi a scendere, con una media nazionale di 49,1 mq.

Si tratta – al di là dei freddi e interpretabili numeri – di ‘gestione dello spazio urbano’, e di come questo spazio, il ‘vuoto’ che ci circonda con le sue risorse, possa riuscire a sostenere la vita comunitaria dell’essere umano; una vita che sia ragionata, pensata, innovata e attuata. Ecosistemi concettuali che ragionino su ecosistemi urbani: è l’obiettivo di iNest, uno degli 11 consorzi nazionali – guidati da un investimento complessivo di 1,3 miliardi di euro da fondo PNRR – che interconnettono università, enti di ricerca, istituzioni pubbliche, private e in generale soggetti altamente qualificati. La forte vocazione territoriale – nel caso di iNest, il Triveneto – è “individuare obiettivi e priorità di ricerca e innovazione, per cercare di costruire una connessione tra università e impresa, tra teoria e pratica”, come specifica Lorenzo Fabian, architetto e professore di Urbanistica allo IUAV di Venezia.

“iNest, tramite le nove aree di specializzazione verticale chiamati Spoke – continua il prof. Fabian – ragiona in base alle diverse peculiarità innovative. Lo Spoke 4, di cui IUAV è leader, si occupa di ‘Città, architettura e design sostenibile’ all’interno della cornice del Green deal, in collaborazione con le università di Padova, Udine e Trieste, al Cresme – centro di ricerca per chi opera nel mercato edilizio – e al Corila – consorzio per le ricerche inerenti al sistema lagunare di Venezia”. 

Progettare uno spazio urbano tendente alla neutralità climatica, significa porsi in relazione con almeno due possibili approcci alla sostenibilità: “Da un lato c’è un approccio tendenzialmente positivista che, attraverso l’innovazione tecnologica e meccanismi sempre più efficienti di sfruttamento delle risorse e riduzione degli scarti, si propone l’obiettivo  di modificare il meno possibile le nostre vite, il modello economico e le pratiche d’uso che caratterizzano le nostre città. È questa la via conservativa che spesso caratterizza le politiche europee, uno scenario che ha l’obiettivo di modificare la forma ma non la sostanza delle cose” spiega il prof. Fabian. “Dall’altra parte abbiamo uno scenario più radicale, che ci invita a ripensare in modo critico e nel profondo al modello economico, al rapporto con le risorse, agli stili di vita e, con essi, alle forme progettuali che sono alla base dell’organizzazione dei territori e della città. È un approccio che va oltre la sostenibilità e modifica la sostanza e la struttura profonda delle cose. Su queste due traiettorie differenti e spesso confliggenti, lo Spoke 4 mantiene un approccio laico, nella consapevolezza che il progetto spesso si colloca in un punto mediano tra posizioni estreme”.

“Quello che ci interessa del secondo approccio  – continua Lorenzo Fabian – è la correlazione profonda che esso stabilisce fra risorse geografiche e progetto del territorio. La storia lunga della città ci parla di un legame profondo che è sempre esistito fra lo sviluppo urbano, la disponibilità e la cura delle risorse, in primis dell’energia, ma è solo con il XX secolo che l’impatto della vita umana sull’atmosfera, sull’acqua e sul suolo, assume intensità senza precedenti. In particolare, come ricorda McNeill, è il sistema energetico basato sull’energia fossile che possiamo considerare la variabile essenziale nella storia ambientale moderna. Da esso non solo deriva il cambiamento climatico ma il progressivo distacco del progetto di architettura, città e design dalle risorse territoriali. La fine del ciclo dei combustibili fossili, e più in generale la scarsità di risorse che caratterizza il nostro tempo, ci porta oggi a ristabilire una connessione col territorio, a una pacificazione con il suolo. Ci obbliga ad ampliare la visione a ecosistemi che guardino ad una nuova ‘sezione di valle’ che si estende dalla montagna al mare, in cui lo sviluppo urbano è connesso ai cicli dell’acqua, del cibo e dell’energia, e a un ritorno alle pratiche e ai processi del progetto che si sono sempre attuati quando le risorse erano endogene”. 

Il Nord-est, in questo senso, è un esempio peculiare e unico: il terreno su cui poggia deve difendersi tanto dal rischio sismico, quanto da quello idrico – nell’alto Adriatico e nelle esondazioni che abbiamo anche recentemente conosciuto; senza considerare poi il dilapidare delle fonti energetiche a disposizione. “Queste sono state le sfide e le questioni poste alle aziende quando abbiamo approvato i bandi a cascata e concesso la prima tornata di finanziamenti. Abbiamo selezionato progetti interessanti che spaziano dall’economia circolare al preservare l’eredità storica delle città dalle sfide poste dal Green deal europeo. Si tratta di 22 imprese coinvolte in 10 progetti che sviluppano prototipi e servizi per la gestione della transizione energetica e digitale, per l’efficientamento di cantiere, per la sperimentazione di nuovi materiali frutto di processi di riciclo ed economia circolare, per l’adattamento delle città ai rischi derivanti dal cambiamento climatico, per la redistribuzione delle energie rinnovabili da territori con maggiori capacità di stoccaggio alle zone energeticamente più povere: il centro storico ne è un esempio” chiosa il prof. Fabian.

Di nuovo dunque la domanda inziale: quale sarà la città del futuro?

“Oggi la città non può più essere intesa come un centro urbano con i suoi confini amministrativi. La post-sostenibilità ci spinge a guardare a tutto il territorio come ad un sistema olistico, dalla montagna al mare, dove tutti aspirano o conducono una vita cittadina. I dati relativi all’inurbamento sono spesso fuorvianti: non descrivono più una popolazione che si muove verso la città, essi denunciano stili di vita urbani che si espandono fino ad inglobare l’intero territorio. È per esprimere questo concetto che negli anni novanta alcuni studiosi come Indovina e Secchi ci hanno proposto di guardare all’area centrale del nord-est come a una grande città diffusa. Oggi possiamo forse pensare ad una ‘nuova città’, una metropoli orizzontale dilatata e a densità variabile che si estende dalla montagna al mare e che deve cercare di trovare al suo interno le risorse di cui necessita: spazi verdi per l’acqua e biodiversità, luoghi per l’assorbimento delle sostanze climalteranti, per la produzione del cibo, per l’energia dal sole, dall’acqua e dalla biomassa. Così, se la città diventa territorio urbanizzato, essa deve mantenere le possibilità di una riconnessione con la specifica geografia su cui essa si sviluppa, una riconciliazione che è anche dei cittadini con le risorse ambientali”. conclude Lorenzo Fabian.

Una risposta ampia, ben più complessa di qualche riga di testo, che lascia trasparire però i contorni di una città tanto immaginata, quanto possibile. Come novelli Marco Polo – o ben più umili Calvini – ci apprestiamo a narrare, e a costruire, nuove città sostenibili. Città invisibili, che si fanno visibili.

di Damiano Martin