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La comunicazione ha una grande responsabilità nella diffusione della sostenibilità, che deve essere condivisa con le stesse aziende. Ne abbiamo parlato con Daniele Cobianchi, CEO di McCann Worldgroup Italy e Mediabrands Italy President, oltre che Sustainability Advocate del Gruppo

Viviamo nell’era della sostenibilità, concetto alla base della transizione ecologica, usato, abusato, sfruttato, celebrato e millantato. La rapida e capillare diffusione del tema all’interno della società, delle imprese e delle istituzioni, l’ha reso anche inevitabilmente un fattore comune a moltissime iniziative di comunicazione. Se non si trattasse di un argomento vitale per le sorti del Pianeta, potrebbe apparire a molti una tendenza passeggera, un trend da cavalcare – e in effetti qualcuno lo fa, ahimé.

Tuttavia, rispetto ai trend tradizionali, la cattiva comunicazione riguardo la sostenibilità non danneggia solo consumatori e competitor, ma anche l’ambiente e l’intero ecosistema in cui viviamo, e da cui dipendiamo.

Un vantaggio competitivo globale

La sostenibilità rappresenta la direttrice di sviluppo necessaria e nelle sue declinazioni primarie, ambientale e sociale, assume oggi la forma e la sostanza di un vantaggio competitivo.

Per questo, è diventato necessario per tutte le aziende, grandi e piccole, pianificare con massima priorità e concretezza un percorso effettivo di sostenibilità: per non essere tagliati fuori dalla competizione dei mercati. Costruire un percorso di sostenibilità forte, tangibile e credibile (vero!) diventa anche un elemento fondante di una strategia di marketing e comunicazione vincente.

Il ruolo della comunicazione assume parallelamente l’importante compito di spiegare, testimoniare e contestualizzare, di fronte agli stakeholders, i “perché” e i “come” delle azioni compiute da un’azienda, contribuendo a creare reputazione e coltivare la trasparenza dell’impresa. The Good in Town ha incontrato Daniele Cobianchi, CEO di McCann Worldgroup Italy e Mediabrands Italy President, oltre che Sustainability Advocate del Gruppo, che ci ha raccontato il suo punto di vista.

“Il tema della sostenibilità continuerà a essere centrale nei prossimi anni, nei quali tutti dovranno impostare concretamente azioni in grado di impattare positivamente sull’ambiente, sulle persone e sull’economia.

Il compito e soprattutto la responsabilità della comunicazione è quella di far capire che una campagna marketing può smuovere le coscienze di chi la guarda e far riflettere.

È qui che possiamo fare la differenza dando un contributo meaningful (significativo) alla vita delle persone. L’impatto che i grandi gruppi possono dare su tematiche rilevanti, come la sostenibilità, è troppo grande per non provarci. A differenza di altri “tormentoni”, la sostenibilità non è solo una parola alla moda. Ha nel suo DNA la concretezza dei comportamenti, le azioni di responsabilità, la non procrastinazione, i risultati. Pertanto, la comunicazione potrà guidare questo cambiamento sostenibile solo se sarà capace di costruire una consapevolezza collettiva.”

IPG, la holding di cui McCann Worldgroup fa parte, è il primo network pubblicitario ad aver pubblicato il report SASB (Sustainability Accounting Standards Board) definendo lo standard nell’Industry di riferimento e fornendo informazioni trasparenti in materia di ESG. Un primo importantissimo passo sia nell’ottica della responsabilità sociale che nel rispetto dell’ambiente.

SASB è un’organizzazione nonprofit indipendente che definisce una serie di standard per la divulgazione di informazioni sulla sostenibilità finanziariamente rilevanti da parte delle aziende ai propri investitori. Gli standard SASB identificano un sottoinsieme di criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) più rilevanti per le prestazioni finanziarie in 77 settori. Il SASB non richiede un meccanismo di rendicontazione specifico. Le aziende decidono le modalità di rendicontazione, che possono essere rapporti di sostenibilità, rapporti integrati, siti web o rapporti annuali agli azionisti.

IPG è anche la prima holding pubblicitaria ad aver siglato The Climate Pledge, il programma di Amazon e Global Optimism per raggiungere emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2040. McCann Worlgroup ha rilasciato Truth About Sustainability la ricerca curata e pubblicata dall’agenzia che, con un enorme lavoro di interviste e raccolta dati, evidenzia come il tema della sostenibilità abbia acquistato crescente importanza negli anni e rappresenti oggi un elemento cruciale per aziende e consumatori. Lo studio include 32.000 interviste globali su 26 mercati (Wave 1, 2019), 11.700 interviste globali su 18 mercati (Wave 2, 2021), 1.000 interviste qualitative online in comunità di 24 mercati, 55 interviste sul network globale McCann Worldgroup e 13 interviste di esperti in una vasta gamma di aree geografiche e discipline.

La predisposizione al cambiamento

Tra le evidenze più interessanti è emerso che uno schiacciante 90% del campione globale afferma di essere disposto a cambiare le proprie azioni per essere sostenibile; le percentuali sono molto più basse quando vengono richieste azioni specifiche.

Salta all’occhio un inaspettato interesse da parte dei Boomers (over 50) alle tematiche sostenibili.

In particolare, il 65% di loro è disposto a mettere un freno ai consumi di prodotti in plastica (vs 52% della Gen Z), il 49% si sposterebbe di più in bicicletta (Gen Z si ferma al 41%), e il 51% acquisterebbe prodotti destinati a durare più a lungo (vs 39% della Gen Z).

Cobianchi spiega: “In realtà questo dato non mi sorprende perché il tessuto culturale in cui viviamo è profondamente cambiato. Pensiamo ai social media, alla stessa digitalizzazione, alle tantissime piattaforme tecnologiche che nascono ogni giorno e hanno permesso anche agli over 50 di essere molto più attivi dei nostri genitori alla loro età. Il tema della sostenibilità è molto presente nelle piattaforme e il target più adulto partecipa attivamente alle conversazioni per sé e per i propri figli per i quali nutre comprensibilmente grande preoccupazione per il futuro.”.

Curioso notare che il punto di vista degli italiani intervistati non è in linea con gli altri Paesi compresi nello studio per quanto riguarda la responsabilità. Nello specifico, il 71% ritiene che imprese ed aziende abbiano piena responsabilità rispetto ad un cambio di passo sul cambiamento climatico (vs 43% altri Paesi); i singoli individui vengono considerati maggiormente responsabili dal 41%.

“Non possiamo nasconderci dietro un dito. – continua Cobianchi. “Per anni l’industria della pubblicità ha contribuito ad aumentare le occasioni di consumo, a destagionalizzare i prodotti, a rendere desiderabile il superfluo, peraltro riuscendoci molto bene. Ora che il mondo è cambiato e ci sono nuove priorità, è fondamentale smettere di “tentare” le persone per cominciare a raccontare gli aspetti etici e virtuosi delle realtà con le quali si viene in contatto.”.

L’importanza del linguaggio

Oggi, la sostenibilità sta influenzando tutto, dalla politica governativa al comportamento dei consumatori, dall’identità sociale, alla formazione, agli sforzi di marketing. Oltre il 90% delle 100 più grandi aziende del mondo ha assunto un impegno per la sostenibilità o il clima negli ultimi 2 anni.

Tuttavia, è chiaro che le argomentazioni spesso utilizzano un linguaggio tecnico e fanno riferimento a informazioni a volte non semplificabili e spesso equivocabili o interpretabili.

Il linguaggio è indubbiamente un tema importante quando si parla di sostenibilità – sottolinea ancora Cobianchi. “Uno dei motivi per cui sono diventato Sustainability Advocate del nostro Gruppo è anche sensibilizzare tutti ad un linguaggio della comunicazione più sostenibile per creare una concreta cultura della sostenibilità: chiaro, diretto, pratico, esemplificativo”.

L’obiettivo prioritario non è: “proteggere il pianeta”, ma “proteggerci”

La comunicazione ha il compito di riformulare il problema, perché l’ambiente smetta di esser percepito come ente separato dall’uomo, ma venga colto come contenuto e contenitore dell’unico ecosistema necessario per la sopravvivenza dell’uomo stesso.

Un unico ecosistema per una sfida globale, ma declinata in mille sfumature locali. I diversi contesti culturali svolgono infatti un ruolo fondamentale nel comprendere come la sostenibilità non solo può esser percepita, ma può anche essere attuata in tutto il mondo. La ricerca prende atto della diversità ed esplora le differenti modalità di connessione con i popoli attraverso una segmentazione culturale, generazionale e attitudinale.

Persone che si preoccupano per il clima, sopra percentuale, sotto fascia d’età.

Ad esempio, in India, dove prevale una cultura alimentare vegetariana, le persone sono più propense a rinunciare alla carne per combattere il cambiamento climatico. Andando incontro ad abitudini, usanze o norme esistenti, è più facile innescare un vero cambiamento duraturo. La Gen Z è soprattutto una generazione di attivisti, mentre le persone di età compresa tra 55 e 64 anni si mostrano più mosse da preoccupazione rispetto a quelle di età compresa tra 18 e 24 anni. Non bisogna mai perdere di vista, inoltre, il potere del link tra generazioni, e lavorare su esso: il 70% dei genitori, ad esempio, a livello globale è più preoccupato della crisi ambientale, rispetto al 61% dei non genitori.

Essere sostenibili è spesso associato a una disincentivante spesa maggiore, o al concetto di rinuncia. Un approccio creativo e pieno di speranza ai cambiamenti comportamentali sia a livello individuale che aziendale è molto più efficace di una richiesta di sacrificio o privazione.

Affrontare significativamente la sostenibilità attraverso una lente di “+” (più tempo, salute, prosperità, comunità, gioia) piuttosto che “-“ (meno malattie, inquinamento, stress, sfruttamento), rivela opportunità per liberare la creatività per risolvere le sfide che modellano un futuro di speranza.

Con il 77% delle persone a livello globale che afferma che i marchi hanno più potere di avere un impatto positivo rispetto al governo, c’è un enorme potenziale e responsabilità per i marchi in questo spazio.

Un’ultima provocazione: la scelta d’acquisto sta diventando un esercizio mentale sempre più complesso, a volte frustrante. 1 persona su 3 afferma di acquistare a volte l’opzione più economica anche se meno sostenibile. Se i marchi sono percepiti come aventi la stessa responsabilità (o maggiore) del governo e della gente comune, perché mettere i clienti in grado di scegliere “l’opzione più sostenibile”?

 

Monica Sozzi

di Monica Sozzi