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Nei prossimi anni scatteranno obblighi di comunicazione molto più dettagliati e stringenti sugli aspetti ambientali, sociali e di governance, e le aziende devono prepararsi. Il digitale come strumento abilitante per la messa a terra di strategie di transizione sostenibile efficaci.

Il 2023 sarà l’anno della svolta sul fronte della sostenibilità per le imprese europee. Il via libera definitivo alla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) da parte del Consiglio dell’Unione europea, avvenuto il 28 novembre scorso, rappresenta un tassello fondamentale nel quadro normativo sulla sostenibilità, in forte evoluzione: vengono introdotti, a carico delle grandi imprese e delle PMI quotate, obblighi di comunicazione molto più dettagliati e stringenti sugli aspetti ambientali, sociali e di governance (ESG), con inevitabili ricadute su larga parte del sistema produttivo.

I nuovi obblighi di reporting scatteranno già dall’esercizio finanziario 2024 per un primo gruppo di imprese, estendendosi poi progressivamente alle grandi imprese e alle PMI quotate, con un impatto su circa 5.000 aziende in Italia, 50.000 in Europa (Fonte: PWC). L’introduzione del reporting sulla sostenibilità avrà, inoltre, ripercussioni importanti su tutte le catene di fornitura delle realtà soggette ai nuovi obblighi di comunicazione, che saranno misurate in termini di impatto ambientale, sociale e di governance.

Si tratta di un vero cambio di paradigma che di fatto chiama tutte le aziende a definire fin da subito una strategia chiara di transizione verso modelli di business più sostenibili, con uno sguardo al lungo termine. L’urgenza è dettata anche da ragioni di competitività: le imprese che non saranno in grado di misurare e rendicontare l’impatto del proprio business sull’ambiente e sulla società saranno penalizzate rispetto ai competitor. Avranno anche minori opportunità di accesso ai finanziamenti, perché gli istituti finanziari e gli investitori istituzionali premieranno le aziende con un profilo di sostenibilità più elevato.

Non è un caso se Banca d’Italia, in un recente Paper pubblicato il 22 dicembre e intitolato “La rendicontazione ESG: quadro normativo e sfide per le banche italiane”, sollecita gli istituti di credito a non abbassare la guardia. Sulla base dei nuovi requisiti normativi in ambito europeo, infatti, le banche saranno chiamate a fornire numerose informazioni sul loro grado di esposizione ai rischi climatici e ambientali. La sfida principale, qui, è legata proprio alla difficoltà di valutare il grado di esposizione della propria clientela, criticità che si riscontra maggiormente in riferimento alle piccole e medie imprese.

Il tempo stringe, perché la misurazione e la rendicontazione dei fattori ESG rappresentano solo l’epilogo, la messa a terra di un percorso di definizione della strategia aziendale sul piano della sostenibilità. Prima di rendicontare, l’impresa deve definire i propri obiettivi di sostenibilità e stabilire quali azioni intraprendere per realizzarli.

La nostra esperienza dice che le best practice verso la sostenibilità nascono da una forte spinta imprenditoriale: se, cioè, i vertici dell’azienda abbracciano in modo autentico gli obiettivi di crescita sostenibile, oltre le ragioni di natura commerciale, assimilandoli tra i valori fondativi dell’azienda. Quando i percorsi di sviluppo sostenibile scaturiscono dalla convinzione che il cambiamento possa generare valore, concretamente, per l’azienda e per tutti gli stakeholder – azionisti, dipendenti, fornitori, clienti, comunità locali – l’integrazione dei fattori ambientali e sociali nei modelli di business trova la massima espressione. Dove c’è coerenza tra valori e progettualità, non c’è spazio per il greenwashing, ovvero per l’adesione opportunistica e superficiale alla narrazione ormai un po’ inflazionata sulla sostenibilità. Quella coerenza emerge anche in fase di monitoraggio e rendicontazione, perché misurare non significa solo certificare l’adeguamento sul piano normativo, ma validare concretamente le ricadute positive della transizione verso un modello più attento all’ambiente e alle persone, in un processo di miglioramento continuo.

Al centro di questo processo c’è la digitalizzazione, che interviene in diverse fasi: identificazione dei KPI (Key Performance Indicator) dell’azienda relativi agli obiettivi di sostenibilità; raccolta dei dati e delle variabili che esprimono il percorso di cambiamento; monitoraggio nel tempo attraverso una reportistica dedicata. La digitalizzazione, in definitiva, è lo strumento imprescindibile e abilitante che permette a imprese, istituti finanziari e organizzazioni di rispondere all’esigenza di trasparenza, misurazione, rendicontazione e gestione dei propri obiettivi ESG, anche attraverso un governo esteso dell’intera catena di fornitura.

Per le aziende intenzionate a portare avanti questo processo d’innovazione, il PNRR rappresenta quindi una straordinaria opportunità. Alla componente 2 della Missione 1, titolata “Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo”, infatti, sono destinati 22,2 miliardi di euro, di cui solo 6,7 miliardi sono stati già spesi tra il 2021 e il 2022 (fonte: Osservatorio PNRR, Il Sole 24 Ore). Da qui al 2026 le imprese potranno dunque trovare una spinta decisiva nelle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, favorendo la loro digitalizzazione, consentiranno al tempo stesso di mettere a terra più efficacemente i piani di transizione sostenibile. Un punto di convergenza virtuoso tra il percorso di innovazione tecnologica e quello di uno sviluppo più consapevole, che testimonia quanto in questa fase di cambiamento sia fondamentale adottare un approccio aperto e sistemico, capace di stimolare una trasformazione della governance e della strategia aziendale nella sua complessità.

*AD Dedagroup Business Solutions

di Gianni Spada

Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/integrare-sostenibilita-processi-business-sfida-2023-banche-e-imprese-AEUbS0bC