Incendi, raccolta di legname e attività antropiche che incidono sui margini dell’ecosistema amazzonico riguardano un’area pari al 112% di quella toccata dalla deforestazione. E se si aggiunge il fattore siccità estrema, intensificato dalla crisi climatica, ormai più di 1/3 della foresta è indebolito
Quando pensiamo alle minacce che incombono sull’Amazzonia il pensiero corre immediatamente alla deforestazione. Eppure non è il logging illegale e la distruzione che ne segue il nemico numero uno per la foresta pluviale tropicale più grande al mondo. È il degrado dell’Amazzonia che la sta spingendo rapidamente verso quello che gli scienziati chiamano “punto di non ritorno” o tipping point. Il momento in cui la perdita di questo ecosistema diventa inarrestabile perché scattano dei meccanismi che si autoalimentano.
Il punto sul degrado dell’Amazzonia
I bollettini mensili delle agenzie brasiliane sul tasso di “desmatamento” attirano di più l’attenzione ma raccontano solo una parte della storia. Lo spiegano bene due studi pubblicati oggi sulla rivista Nature, che dedica la sua copertina proprio alla scomparsa progressiva dell’ecosistema amazzonico. Concentrandosi sul concetto di degrado, ovvero uno stato in cui l’ecosistema è fortemente indebolito dalle attività umane e dal cambiamento climatico, perdendo così resilienza, benché non sia del tutto distrutto e, anzi, a un osservatore superficiale possa persino apparire integro.
I dati presenti in letteratura negli ultimi 20 anni mostrano che l’impatto degli incendi, della raccolta di legname -legale e non- e le influenze di queste attività antropiche sull’area di contatto tra zone o ambienti diversi (l’effetto margine) ha causato un degrado dell’Amazzonia tra il 2001 e il 2018 sul 5,5% della superficie totale della foresta. Una regione vasta 360mila km2, come Italia e Croazia insieme. È il 112% della superficie che è stata deforestata in quello stesso periodo.
Il quadro cambia radicalmente, e in peggio, se all’equazione del degrado dell’Amazzonia aggiungiamo l’impatto della siccità. La crisi climatica comporta anche per la foresta pluviale sudamericana episodi di siccità estrema più frequenti e lunghi, come accade in altre aree del Pianeta. È il portato del riscaldamento globale antropico. E questo fattore colpisce una superficie decisamente più vasta. Secondo gli studi pubblicati su Science, calcolando anche l’effetto della siccità, oggi il 38% di ciò che resta dell’Amazzonia è degradato. Parliamo di una regione grande più di otto volte l’Italia, circa 2,5 milioni di km2.
Il degrado dell’Amazzonia rivaleggia con la sua deforestazione anche per l’impatto diretto sul clima. L’area degradata perde da 0,05 a 0,2 Gt di carbonio l’anno, praticamente la stessa quantità attribuita al disboscamento (0,06-0,21 Gt). Questi fattori che guidano il degrado “possono causare una perdita di biodiversità pari a quella della deforestazione stessa e le foreste degradate dagli incendi e dall’estrazione di legname possono avere una riduzione dal 2 al 34% dell’evapotraspirazione durante la stagione secca”, scrivono gli autori.
Fonte: rinnovabili.it