Categorie: Editorial
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La pandemia CoViD19 ci ha fatto comprendere come la trasformazione digitale della società e delle imprese sia fondamentale. Basti pensare a quello che sarebbe successo se quel minimo di infrastruttura informatica che ci ha consentito di lavorare in smartworking, ci ha offerto la possibilità di vederci e riunirci online, ci ha consentito di fare acquisti e la spesa rimanendo seduti sul proprio divano di casa, non fosse esistita.

Non solo le aziende di servizi hanno tratto vantaggio da questo modo insolito per noi di lavorare, riunirci e fare acquisti ma anche quelle legate ai settori più tradizionali come la meccanica e l’agroalimentare. Nei settori più innovativi invece la pandemia ha dato una accelerazione incredibile verso la digitalizzazione.

E allora sembra giunto il momento di lasciare da parte gli atomi e di tornare a pensare di investire solo sui bit come era già successo tra gli anni Novanta e il Duemila?

Sarebbe un errore di prospettiva interpretare la trasformazione digitale come una nuova era del dot-com

L’essenza della cosiddetta rivoluzione digitale è quella legata alla simbiosi tra atomi e bit. Un esempio tra tutti è quello dell’ additive manufacturing dove i bit che possono essere trasferiti anche per lunghe distanze, si materializzano in atomi attraverso la costruzione di componenti, manufatti e altro. Esempio opposto è quello della tecnologia Digital Twin dove gli atomi sono sostituiti dai bit e ne prendono il loro posto in un modello matematico che simula il comportamento del sistema fisico in fase di progettazione, nell’assemblaggio e nella sua successiva manutenzione.

Si sta quindi andando nella direzione di una forma ibrida di manifattura, di una forma evoluta dei servizi e di una nuova rivoluzione nella società.

La trasformazione in atto non vede soltanto un maggior uso di tecnologie che possono aiutare a sviluppare e porre sul mercato nuovi prodotti e servizi, ma piuttosto un modo nuovo di interpretare la vera essenza dei prodotti che saranno sempre più ibridazione tra atomi e bit, hardware e software, beni e servizi nello stesso tempo. 

Nel settore musicale, che aveva già visto una trasformazione enorme alla fine degli anni Novanta per colpa o merito della startup Napster di Shawn Fanning, le tecnologie digitali la stanno facendo da padrone, come succede per l’intelligenza artificiale alla base di Spotify, ormai leader riconosciuto dei servizi di ascolto di musica. Dal disco di vinile, dalla musicassetta, dal CD e dal DVD – tutti atomi – si è passati anche qui ai bit, ai servizi che hanno fatto diventare la musica ubiqua e accessibile a tutti.

Un contesto diverso, ma tradizionalmente costituito di atomi, è quello energetico con tutta la sua infrastruttura di acciaio, rame e cemento per il trasporto dei vettori energetici come il petrolio, il gas e soprattutto l’energia elettrica. Le smart grid sono un esempio di come anche in questo settore tradizionale ormai l’IoT (Internet of Things), i bit quindi, sia diventata una tecnologia di suo quotidiano per sfruttare al meglio i flussi e i consumi energetici consentendo una maggiore sostenibilità nell’uso finale dell’energia.

Per un “sistema-paese” orientarsi verso una forma ibrida di manifattura significa avviare una riflessione sistematica e interdisciplinare sui processi di digitalizzazione e, nello specifico, su quale ruolo possano giocare gli enti di formazione e gli istituti di ricerca per attuare il trasferimento tecnologico e creare le condizioni economiche, sociali e culturali per favorire lo sviluppo di un rinascimento digitale.

Il nostro Paese ha sempre avuto un certo timore a mettere al servizio del territorio le competenze e le tecnologie che vengono sviluppate all’interno delle Università creando talvolta un divario tra accademia e mondo reale. Quest’ultimo, anche per una chiara responsabilità del mondo accademico, considera ancora oggi le università come “torri eburnee” dove il sapere prodotto rimane entro le mura in un ambiente autoreferenziale e la contaminazione con il mondo esterno è vista quasi come limitazione al lavoro dei docenti e dei ricercatori.

La trasformazione digitale può essere invece una grande occasione per fare uscire i ricercatori dai propri laboratori e mettere a disposizione le proprie competenze per accelerare questo processo. 

Un fattore abilitante fondamentale riguarda la formazione che deve mettere in condizione di capire e gestire le tecnologie e i nuovi modelli di business che possono nascere dall’adozione delle tecnologie 4.0. Formazione che deve essere indirizzata sia ai giovani che si accingono ad entrare nel mondo del lavoro, ma soprattutto a chi, operando con metodologie tradizionali, si trova costretto a reinventare il proprio ruolo all’interno dell’azienda. Il consolidamento delle tecnologie digitali avrà nei prossimi anni un notevole impatto potenziale in termini di sostituzione della forza lavoro e pertanto la transizione da atomi a bit, deve essere gestita in modo che le opportunità create dalle tecnologie vadano quanto meno a compensare eventuali impatti negativi in termini di diminuzione di posti di lavoro (The European House 2017, p. 2 ). In una recente ricerca, The European House – Ambrosetti ha stimato l’impatto dell’automazione e delle tecnologie 4.0 sul mercato del lavoro in Italia. “Il cambiamento già in atto legato all’automazione di processo e all’introduzione dell’Intelligenza Artificiale potrebbe provocare, nei prossimi anni, una graduale polarizzazione della ricchezza e delle competenze solo in alcune fasce privilegiate della società, aumentando le disparità sociali ed economiche già esistenti. Secondo tali stime, la percentuale di rischio di perdita del posto di lavoro associato all’automazione e alla trasformazione digitale è pari al 14,9% del totale dei lavoratori italiani (corrispondente a 3,2 milioni di persone).”

La formazione intesa come lifelong learning è l’unico strumento per trasformare una criticità in una opportunità per quei lavoratori che subiranno all’interno delle proprie aziende questo processo di trasformazione. 

La formazione è necessaria anche per venire incontro alla carenza di personale qualificato con competenze specifiche in ambito Industria 4.0. Da questo punto di vista gli ITS (Istituti Tecnici Superiori) con l’istituzione di nuovi corsi e il consolidamento di quelli esistenti potrebbero dare una risposta veloce e di mercato. 

Sbaglia però chi dovesse pensare che l’innovazione e la trasformazione digitale siano prerogative di soli matematici, fisici e ingegneri. Mai come in quest’epoca è necessario ritrovare le competenze delle scienze umane, sociali e della vita per portare a compimento un passaggio tanto necessario quanto epocale. La tecnologia consiste quasi sempre nel fare di più con meno, ma questa combinazione è efficace solo se si abbina la tecnologia alle giuste competenze e capacità umane. In Italia abbiamo grandissime esperienze di “distruzione creativa”, basti pensare al Rinascimento. Ed è a quel periodo che dobbiamo guardare se vogliamo cogliere tutti i vantaggi della trasformazione digitale in atto. Ricreare le botteghe rinascimentali in chiave moderna, creare luoghi reali e virtuali di conversazione, agevolare la contaminazione tra scienza, tecnologia e arte sono queste le strade da percorrere per evitare di subire e non guidare la trasformazione in atto. 

Parafrasando il pensiero del governatore Draghi in riferimento alla crisi economica creata dalla recente emergenza sanitaria CoViD19 possiamo affermare che il cosiddetto “green deal” e gli investimenti nell’economia circolare, con la necessaria e conseguente riconversione delle nostre industrie e dei nostri stili di vita, è ormai ai primi posti nella risposta dei governi alla pandemia. La trasformazione digitale ha visto anch’essa una brusca accelerazione con un cambio repentino delle abitudini di lavoro. Tali cambiamenti non saranno temporanei ma rimarranno per sempre, basti pensare alle decisioni di alcune banche di dismettere gli uffici nei centri delle maggiori capitali europee per lasciare liberi i propri dipendenti di lavorare con continuità in smartworking. Negli Stati Uniti la stima di uno spostamento permanente del lavoro dagli uffici alle abitazioni è oggi del 20% del totale dei giorni lavorati (Draghi 2020). Ma tutte queste trasformazioni possono avere successo solo se sapremo investire nelle future generazioni. E l’investimento più importante è la loro formazione. Un paese come l’Italia non può rimanere indietro in questo ambito anche se negli ultimi anni abbiamo perso molto terreno rispetto ai nostri vicini di casa e ad altri paesi emergenti, ne va del futuro del nostro Paese.

 

 

Prof. Fabrizio Dughiero

Fabrizio Dughiero
Professore ordinario
Dipartimento di Ingegneria industriale

 

 

 

Bibliografia

Marini D., Setiffi F., (2021), Una grammatica della digitalizzazione”, Guerini Scientifica – Milano – pp.201-213 

Draghi M., (2020), Meeting 2020, l’intervento integrale di Mario Draghi, https://www.corriere.it/economia/finanza/20_agosto_18/meeting-2020-l-intervento-integrale-mario-draghi-592e01aa-e131-11ea-b799-96c89e260eb4.shtml

The European House Ambrosetti, (2017), Il ruolo della comunicazione per la società di domani. Generare valore e cambiamento culturale, https://eventi.ambrosetti.eu/forum-wpp/wpcontent/uploads/sites/43/2017/11/171031_WPP_position-paper_III-AB.pdf