I mercati finanziari arabi – Abu Dhabi, Qatar, Arabia Saudita – sono stati i primi a reagire. Male. La Borsa di Dubai anche peggio. Per quanto piccoli, il contraccolpo di questi listini è stata l’immediata dimostrazione di quanto gli affari siano sensibili all’incertezza. La scossa tellurica dell’attacco terroristico di Hamas a Israele ha provocato effetti a catena su un mondo legato soprattutto a idrocarburi e fondi sovrani. Ed è stato solo l’inizio. Pensare che fino al 7 ottobre, molto di ciò che si muoveva qui era proiettato verso la Cop28, la Conferenza annuale Onu sul cambiamento climatico che si terrà proprio nell’Emirato da fine novembre, per due settimane (30-11/12-12). Manca un mese, un’eternità in questo quadro geopolitico e militare in cui tutto può cambiare in un attimo.
L’agenda del vertice (da fine novembre) guidato dal sultano emiratino Al Jaber era già tortuosa per finanza climatica e trattative fra Paesi ricchi e poveri. Con l’attacco a Israele sarà ancor più complessa. E la paura non può portare a nulla
I temi sul tavolo erano già apparecchiati. Lo erano fin da un anno fa, dalla fine della Cop precedente, a Sharm el-Sheikh, in Egitto. Comprese le polemiche annesse, a partire da quella sul nome del principale cerimoniere del vertice 2023. La nomina a presidente dei 196 Paesi chiamati a trovare soluzioni ai problemi della crisi climatica e prevenzioni del sultano Ahmed Al Jaber da allora ha provocato la reazione sdegnata e permanente degli ambientalisti dal momento che è anche amministratore delegato della compagnia petrolifera statale emiratina, la Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc), colosso mondiale delle energie fossili. Come mettere la volpe nel pollaio, è stato il commento più poetico.
LA NOMINA DI AL JABER? «COME METTERE LA VOLPE NEL POLLAIO». I NEGOZIATORI PIÙ ABILI ORA DEVONO OCCUPARSI DEL CONFLITTO E POI L’ALLERTA FA SALIRE I TIMORI PER LA SICUREZZA
Le posizioni del presidente Ma potenziale conflitto di interessi a parte, la Cop28molto sperava di essere ambiziosa. L’agenda prevedeva innanzitutto un primo compito: valutare le azioni per colmare il divario fra gli impegni presi per ridurre le emissioni di gas serra – CO2 in primis – e quanto necessario per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo sul Clima di Parigi 2015. Mantenere cioè l’aumento della temperatura globale “al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli pre-industriali, pur perseguendo sforzi per rimanere entro 1,5°C”. Questo il mantra che ben conosciamo ormai. E che le temperature schizzate ai massimi negli ultimi mesi fanno più che vacillare. Alla Cop28 i governi dovranno (avrebbero dovuto?) fare per la prima volta un inventario globale per evidenziare i progressi compiuti dai Paesi rispetto agli impegni di riduzione delle emissioni, i Contributi Determinati a livello Nazionale (o Ndc). La rispostra è già ovvia: ilmondo è ben lontano da quegli obiettivi. Anche perché i combustibili fossili restano dominanti. E questo è un altro punto importante per la Cop28: che fare del dilemma “eliminazione o riduzione graduale” in vista del contenimento delle emissioni?
«Non è possibile staccare la spina al fossile»
Ancora il giorno dopo l’attacco di Hamas (la tempistica non è secondaria) Al Jaber ha ribadito: «Non possiamo staccare la spina al sistema energetico di oggi prima di costruire quello nuovo di domani. Semplicemente non è pratico e non è possibile ». E ha aggiunto: «Dobbiamo separare i fatti dalla finzione, l’impatto dall’ideologia, e assicurarci di evitare le trappole della divisione e della distrazione». Divisioni e distrazioni che ormai arriveranno in massa. Già su questo ultimo punto l’Unione Europea ha appena preannunciato una posizione diversa: a Dubai il nuovo commissario per il Clima, l’olandese Wopke Hoekstra, porterà la richiesta di eliminazione dei combustibili fossili bruciati senza cattura di anidride carbonica: E pure sull’espressione finale i ministri dell’Ambiente europei si sono a lungo scontrati, visto che apre comunque al proseguimento della combustione di idrocarburi…
La partita della finanza
Un altro degli aspetti su cui i negoziatori si sono battuti nei mesi di avvicinamento al vertice è quello della finanza climatica: in parole semplici, la richiesta dei Paesi in via di sviluppo – storicamente meno responsabili delle emissioni e del riscaldamento globale – di finanziamenti da parte dei Paesi inquinatori più ricchi, che servano loro per adattarsi alle conseguenze sempre più distruttive e costose. Dopo la promessa nata nel 2009 di versare 100 miliardi di dollari all’anno (mai mantenuta), alla Cop27 di Sharm è stato creato il primo fondo “Perdite e danni” per sostenere le nazioni più povere e che soffrono di più a causa di tempeste, inondazioni e siccità: «Dobbiamo rendere questo fondo promesso in Egitto una realtà a Dubai», ha rilanciato al Jaber, di nuovo dopo l’attacco allo Stato ebraico.
Difficile preparare i possibili accordi
Ma la strategia di Hamas non ha solo paralizzato il processo di normalizzazione dei rapporti di alcuni grandi Paesi dell’area con Israele, a cominciare dall’Arabia Saudita e dagli stessi Emirati di Al Jaber, fra i firmatari degli Accordi di Abramo. La guerra fa sì che i governi e i funzionari più capaci, anche diplomaticamente, possano dedicarsi meno alle negoziazioni, soprattutto nelle ultime settimane prima del via, durante le quali di solito vengono messe a fuoco le “zone di atterraggio” di possibili accordi. Il precedente della Cop21 di Parigi del 2015, una delle più importanti e positive, decollata nonostante sia partita due settimane dopo gli attacchi islamici contro la Francia avvenuti nella capitale, non è paragonabile: la crisi attuale è molto più vasta.
C’è poi il tema della sicurezza. Se l’anno scorso il summit era blindato per evitare contestazioni, dopo ciò che sta accadendo nel mondo, tra cui gli attentati di Bruxelles di pochi giorni fa, porterà a una Cop28 di massima allerta. E la paura non è mai una buona consigliera. Anche altre Cop hanno avuto esiti negativi: la 15, a Copenhagen 2009, per esempio. Ma 14 anni dopo, con gli obiettivi climatici sempre più incombenti, sarebbe pericolosissimo.
di Edoardo Vigna