L’Italia comincia a raccogliere i frutti degli investimenti in Innovazione, spinti anche dalla recente pandemia. Ma non si possono negare le criticità emerse proprio in quel periodo, legate principalmente a due questioni: la sicurezza informatica e le risorse umane
l sistema Italia negli ultimi anni ha investito in innovazione e ha iniziato a guadagnare posizioni nelle classifiche sulla digitalizzazione. Questa crescita è trainata da alcuni settori e da alcune specifiche caratteristiche del nostro sistema economico e produttivo.
Una buona spinta per la digitalizzazione è stata, in modo inatteso, impressa dalla Pubblica Amministrazione che, partendo da una situazione di grande svantaggio, ha saputo indirizzare alcuni progetti in un meccanismo virtuoso, penso alla fattura elettronica, al 730 precompilato, SPID, Pago PA, l’app IO, l’anagrafe nazionale, il design dei siti e altri progetti infrastrutturali.
L’altro ambito in cui si è concretizzata la nostra evoluzione digitale è invece più scontato, viste le caratteristiche del nostro tessuto economico, ed è l’ambiente della produzione industriale e del manifatturiero.
Il nostro mondo imprenditoriale, per sua natura veloce ad intercettare l’evoluzione dei sistemi di produzione, supportato anche dalle iniziative governative legate ad Industria 4.0, ha introdotto molta tecnologia sia nei prodotti sia nei processi produttivi. Abbiamo assistito ad una rapida evoluzione della fabbrica con il prosperare di tecnologie OT e IoT.
Un altro grande capitolo della digitalizzazione è rappresentato dall’e-commerce. In questo caso gli acquisti on-line hanno subito una crescita drastica per gli effetti della pandemia e delle relative limitazioni che ne sono conseguite.
Un trend già in crescita, ma ancora non radicato, ha definitivamente consolidato le proprie posizioni soprattutto nei settori che erano rimasti più indietro, a dire il vero a discapito di quelli fino ad allora trainanti come il turismo.
Rimanendo sugli effetti della pandemia anche l’organizzazione del lavoro in chiave digital ha dovuto giocoforza adattarsi alla situazione di emergenza. Il lavoro da remoto o il più evoluto smart-working sono cresciuti e si sono trasformati per molte organizzazioni in una nuova normalità obbligando a ripensare sia gli strumenti di lavoro sia gli aspetti gestionali e organizzativi in chiave digital.
Fatta questa premessa generale sull’accelerazione della trasformazione digitale e sulle caratteristiche che ha assunto in Italia facciamo alcune considerazioni sulle criticità che sono emerse, legate principalmente a due questioni: la sicurezza informatica e le risorse umane.
Sulla soglia di una guerra cibernetica globale
L’aumento dei servizi digitali, delle tecnologie OT e IoT e del lavoro da remoto ha innalzato in modo significativo l’esposizione al rischio di incidenti legati alla sicurezza informatica.
A questo si è unita la crescente facilità di portare a termine attacchi utilizzando piattaforme e servizi messi a disposizione degli aspiranti hacker dalle gang di cyber crimine con lo sviluppo di un vero e proprio mercato del ransomware as a service.
Secondo il report Clusit 2022 confrontando il primo semestre dell’anno appena trascorso con il primo semestre del 2018, gli attacchi informatici sono cresciuti del 53%.
Confermando una tendenza già osservata nel 2021, gli attacchi gravi sono stati il 45% del totale, mentre quelli con impatto critico sono arrivati nel primo semestre del 22 a rappresentare un terzo di tutti gli attacchi.
Nel complesso, gli attacchi con impatto Critical e High sono stati il 78% del totale.
Secondo gli esperti di Clusit negli ultimi quattro anni è avvenuto un vero e proprio cambiamento epocale nei livelli di cyber sicurezza, con una ulteriore accelerazione dovuta all’instabilità geopolitica relativa al conflitto Russia-Ucraina, al quale non è corrisposto un incremento sufficiente delle contromisure difensive.
Le aziende e ancor più le amministrazioni pubbliche, devono prendere consapevolezza dei rischi legati a questi fenomeni e intraprendere percorsi di crescita sostanziali per contrastare le minacce.
Competenze digital: Italia al terzultimo posto per capitale umano
Per quanto riguarda il capitale umano, l’Italia si colloca al 25esimo posto su 27 paesi dell’UE.
Solo il 46 % delle persone possiede perlomeno competenze digitali di base, un dato ampiamente al di sotto della media UE.
Il paese ha una percentuale molto bassa di laureati nel settore TIC: solo l’1,4 % dei laureati italiani sceglie discipline TIC, il che rappresenta il dato più basso registrato nell’UE, nel mercato del lavoro la percentuale di specialisti TIC è pari al 3,8 % dell’occupazione totale, ancora una volta al di sotto della media UE. (DESI 2022)
Il mercato del lavoro legato al digitale soffre da diversi anni di un pesante sbilanciamento tra domanda e offerta. I profili legati al digitale si stanno specializzando sempre di più rendendo ancora più difficile il loro reperimento e mettendo le aziende di fronte alla necessità di dotarsi di più profili specialistici.
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