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Il Sud Europa è l’hot spot della crisi climatica. Basterebbe questa affermazione per allarmare i governi che finora non si sono allarmati. Farli correre ai ripari perché non lo hanno fatto. Tirare fuori dai cassetti i piani di emergenza, possibilmente aggiornati. Ma chi ha detto che i paesi del Mediterraneo- Italia in primis- somigliano a un pauroso hot spot ? Lo ha detto l’Agenzia europea dell’ambiente (Eea). E perché ? Perché ci sono 36 rischi climatici significativi che fanno preoccupare. Allora partiamo da qui. “ll caldo estremo, la siccità, gli incendi e le inondazioni, come sperimentato negli ultimi anni, peggioreranno anche in Europa sotto scenari di riscaldamento globale e influenzeranno le condizioni di vita in tutto il continente ” questa è la premessa del Rapporto sul rischio climatico redatto dall’Agenzia. Una specie di mappa per orientarsi nei meandri delle variazioni climatiche.

Le analisi dicono che l’Europa non sta tenendo il passo con i rischi che crescono. Milioni di persone “ballano” su un Titanic in balia di ogni tipo di clima. Evidentemente gli scienziati ritengono che il potenziale dei 27 Stati sia più alto di quello espresso. Hanno tutti ancora capacità da mettere in campo e la cosa particolare è che non riguarda solo la politica. I “ballerini” siamo tutti noi.

Tuttavia, “inondazioni, erosione e intrusioni di acqua salata minacciano le regioni costiere dell’Europa, comprese molte città densamente popolate”. Cinque macro capitoli del Rapporto indicano cosa fare per abbassare i rischi: Ecosistemi, Alimenti, Salute, Infrastrutture, Economia e Finanza. Gli ecosistemi forniscono più servizi alle persone e, quindi, i rischi hanno un alto potenziale per la cascata in altri settori. I cambiamenti climatici hanno un forte impatto sugli alimenti che modificano le produzioni, i consumi,la disponibilità  dei prodotti, le importazioni. La siccità è un fenomeno che si ripete e tocca tutte le aree geografiche della vecchia Europa. Per quanto riguarda la salute, in particolare le ondate di calore, sono “il più grave e più urgente driver di rischio climatico per la salute umana” si legge nel rapporto. I pericoli sono distribuii in forma asimmetrica, tra chi lavora in un ufficio con aria condizionata e chi è su una gru a 50 metri di altezza. Tra chi vive in una casa agiata rispetto a chi sta in abitazioni mal costruite. Per le infrastrutture la pena più grande è per i poteri pubblici che hanno il compito di controllarle e manutenerle. Facciamoci una domanda a questo proposito: quale paese europeo può contestare quel che dice l’Eea ?

Tra i cinque mega punti, infine, c’è l’economia. Gli estremi climatici hanno ricadute enormi sui bilanci pubblici e privati. Come un filo che lega tutto, l’inquinamento è l’inizio di un processo economico: le cure sanitarie, le emergenze sui territori, le ore di lavoro perse, i premi delle assicurazioni contro i rischi e tanto altro.

La disperazione intellettuale non ci conforta, non ci aiuta ad allontanare i pericoli e le angosce. L’Agenzia europea chiede collaborazione e solidarietà tra i governi e i governi e il pubblico. Bisogna mettere in atto soluzioni concrete anche se non di breve durata. L’Ue a giugno si rinnova con il voto, ma il suo ruolo deve restare solido per dare segnali di efficienza. Altri segnali sarebbero la negazione della realtà. Che l’Eea ogni tanto ci ricorda.

di Nunzio Ingiusto