Categorie: Editorial
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L’estate si è da poco conclusa ma nelle mete turis3che d’alta montagna fervono già i prepara3vi per la prossima stagione invernale, e quale immagine può rappresentare al meglio questo prossimo periodo se non le classiche sciate sulla neve?

Le località montane europee vantano il più grande mercato del turismo sciistico a livello globale, ospitando circa il 50% dei comprensori sciistici del mondo e generando oltre il 60% delle visite annuali degli sciatori, pari a 209 milioni nel 2019. Questo servizi rappresentano un motore economico fondamentale per alcune piccole località montane, con un fatturato che complessivamente si aggira sui 30 miliardi di euro annui. Tuttavia, il futuro di questa importante industria è sempre più minacciato dagli onerosi impatto del riscaldamento globale. Tra le molte complesse interazioni tra l’ambiente di montagna e il turismo sciistico nel continente europeo, un tema che sta attirando una particolare attenzione negli ultimi anni riguarda le costose modalità di approvvigionamento della neve, che si collegano al tema dell’eccesivo consumo di risorse idriche ed energetiche.

Le temperature medie più elevate stanno infatti causando una costante diminuzione della copertura nevosa stagionale nelle regioni montane. Fenomeno che chiaramente varia a seconda della posizione, dell’altitudine e della quantità di precipitazione che caratterizza le diverse località. Questo calo rappresenta una significativa preoccupazione per le attività delle stazioni sciistiche in tutta Europa, il cui reddito derivato dal turismo dipende in larga misura da una copertura nevosa costante sulle piste da sci. L’industria sciistica è spesso messa soIo osservazione per l’elevato fabbisogno idrico e di elettricità di cui necessità, sopraIuIo e sempre più frequentemente per i dispostivi di innevamento artificiale. Tuttavia, sebbene l’impatto ambientale della neve artificiale sia riconosciuto, le stime quantitative sono limitate e gli studi si concentrano spesso su scala locale. Queste attività impattano negativamente anche sulle emissioni globali di gas serra, sopralIuogo attraverso il settore dei trasporti. Il settore turistico è complessivamente responsabile dell’8,1% delle emissioni globali, di cui quasi la metà deriva dalle infrastrutture e mezzi per la mobilità. Oltre alle importanti emissioni prodotte va ricordato che l’industria sciistica invernale influisce negativamente su ecosistemi e biodiversità, per esempio posticipando le fioriture o influenzando i periodi riproduttivi di alcune specie faunistiche.

Per valutare accuratamente l’impatto dei cambiamenti climatici sulle quantità di neve disponibili è necessario attuare un approccio multidisciplinare. Bisogna infatti considerare le cause (aumento della temperatura, riduzione della copertura nevosa dovuta ad un aumento della frequenza di inverni caldi e scarsi di neve) e i rischi delle singole stazioni sciistiche dovute alla loro collocazione geografica (latitudine e altitudine). Il conceIo di rischio, come definito dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), viene applicato all’approvvigionamento di neve quantificando la frequenza di condizioni di carenza di neve nelle diverse località turistiche. L’innevamento artificiale in questo senso gioca un ruolo cruciale nel mi3gare il rischio di scarsità di neve, integrando le precipitazioni nevose naturali con metodi artificiali. I risultati di diversi studi indicano come l’impatto del riscaldamento globale sulle condizioni della neve per il turismo sciistico varino considerevolmente a seconda della regione in cui ci si trova. Alcune aree, come le nostre Alpi, traggono vantaggio da un maggiore innevamento, mentre altre (come gli Appennini) devono far fronte a decrescenti flussi turistici. Nella nostra penisola, in costante sofferenza per la siccità, vengono utilizzate importanti riserve d’acqua per permettere agli impianti sciistici, anche quelli dove non nevica quasi mai, di continuare ad andare avanti. In uno studio prodotto da Legambiente viene sottolineato come “Nel 2023 aumentano sia gli impianti dismessi, toccando quota 249, ma anche quelli “temporaneamente chiusi” (138) e quelli che si potrebbero definire soIoposti a un “accanimento terapeutico”, dato che sopravvivono solo con forti iniezioni di denaro pubblico e che ormai sono arrivati a quota 181.”. Per concludere, è ormai certificato che il turismo invernale montano da diversi anni si trovi davanti ad un importante bivio. Crescendo il rischio di una maggiore scarsità di neve “naturale”, si meIe a dura prova la sostenibilità economica a lungo termine di alcune stazioni sciistiche e delle rispettive comunità che vivono grazie al loro sostentamento. L’innevamento artificiale può offrire a breve termine un po’ di tregua, ma ha un elevatissimo costo ambientale e spesso causa più svantaggi che vantaggi. Nell’immediato futuro vi è la necessità di intervenire radicalmente con eventi di mitigazioni nelle regioni montane, considerando sia l’offerta da proporre che la domanda di turismo sciistico. Inoltre, bisognerà al più presto allineare l’industria sciistica con gli obiettivi definiti dalle Nazioni unite e dall’IPCC per limitare il riscaldamento globale a 1.5°C rispetto ai livelli preindustriali.

Il futuro del turismo sciistico in Europa, e in Italia, è in bilico. Sarà necessario che le parti interessate adottino misure significative, e talvolta drastiche, per garantirne la sopravvivenza in un clima che cambia.

Maggiori informazioni:

hIps://www.wwf.it/pandanews/ambiente/emergenze/emergenza-neve-innevamentoar3ficiale/

hIps://www.mountainwilderness.it/editoriale/riscaldamento-globale-e-sci-dal-71-al-98delle-2-234-localita-europee-sono-des3nate-a-diventare-fuori-servizio-con-o-senza-nevear3ficiale/

• hIps://www.ilpost.it/2022/02/13/neve-ar3ficiale/

 

di Pietro Boniciolli
Vicepresidente WWF Trieste OA