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Non si può fermare tutto per una protesta, diciamo, contingente. L’Europa ha preso la strada della sostenibilità. Il mondo si muove verso un nuovo ordine. Non è una strada facile, né scorrevole e lo sapevamo. Il Green Deal europeo oltre agli investimenti, i programmi sulle emissioni, la capacità industriale di rinnovarsi, richiede -ha sempre richiesto- un cambio di mentalità e di comportamenti. Bisogna produrre, consumare e cercare di recuperare gli sprechi in tutti i settori della vita sociale. Non siamo a primi passi ma nemmeno agli ultimi.

La protesta degli agricoltori di questi giorni ha motivazioni diverse da paese a paese: in Italia per le tasse, in Francia per le importazioni, in Germania per il prezzo dei carburanti. Questo per essere sintetici. “Gli agricoltori hanno ragione a manifestare il loro disagio e la rabbia, ma non hanno ragione nelle conclusioni, nel bersaglio della protesta” ha detto Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, una delle organizzazioni italiane più sensibili alla transizione ecologica ed energetica. “Dal punto di vista economico gli agricoltori, sono l’anello debole della catena, quello che paga il prezzo maggiore per gli errori commessi”. Attaccare in toto il Green Deal, però, vuol dire scambiare il rimedio con la causa del male.
La politica agricola (PAC) fino al 2027 è stata votata ed è vigente. All’atto dell’approvazione ci sono state piccole e marginali manifestazioni. L’inquietudine di questi giorni non è stata mai così forte. E se in Italia i leader della protesta sono gli stessi del movimento dei forconi di qualche anno fa, il sospetto di una strumentalizzazione politica non è fuori luogo. Basta non darci peso e guardare la sostanza del problema.
Gli ultimi anni sono stati difficili per tutti e tutto: pandemia, cambiamenti climatici, guerra in Ucraina, prezzi dell’energia, mancanza di manodopera. L’agricoltura resta centrale e decisiva in questo passaggio storico verso una new economy, come è sempre stato del resto. Non solo in Europa, evidentemente. La globalizzazione ha dispiegato da tempo i propri effetti portando sulla scena mondiale paesi e soggetti ritenuti incapaci di competere con le economie forti. Ma quanto erano forti le nostre economie dell’abbondanza? Molto, tanto da aver mostrato drammatiche fragilità nel sistema bancario, in quello militare, nelle relazioni pacifiche, nella lotta alle epidemie e alle disuguaglianze. Cosa c’entrano l’agricoltura e i trattori lungo le strade di oggi? Anche io dico che sono un anello essenziale dell’umanità. Di una congiunzione tra un mondo disarticolato che affronta un cambiamento epocale e un altro tutto da costruire, le cui basi stiamo progettando. Il mercato dei capitali e del lavoro va riformato ma ci aiuta.

Il progetto non riguarda l’Europa, va oltre. L’Europa contribuisce a redigerlo soprattutto per non avere materiali scadenti. Fuori di metafora vuol dire non riproporre divisioni tra ricchi e poveri, tra chi spreca e chi vive con meno di 1 dollaro al giorno. Prima del web e dell’intelligenza artificiale c’è il sostentamento, la terra da coltivare con sistemi moderni e da proteggere da minacce di ogni tipo. L’innovazione e la ricerca sono il collante che deve consentire anche alle nuove generazioni di “vivere i campi”. Bisogna aiutare il mondo agricolo a non confondere la medicina con la malattia. Un’agricoltura priva di tossicità, di qualità e controllata non vuol dire sovranità. I terreni incolti sono utili alla diffusione delle energie rinnovabili. Le filiere produttive organizzate possono determinare prezzi e interscambi. I paesi che praticano il dumping vanno ricondotti a una concorrenza sin dai unti di partenza. Indietro non si tornerà ed è illusorio pensare di vincere nel mondo rinchiudendosi in antichi confini. Per questo dei trattori in marcia dico, è una protesta contingente che rischia di segregare un settore indispensabile in un angolo di mondo, in barba allo straordinario lavoro da fare per salvare e riequilibrare il pianeta.

 

di Nunzio Ingiusto