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Il Consiglio europeo ha inserito nella bozza di conclusioni la ferma condanna delle esecuzioni dei manifestanti e del ricorso alla pena di morte

 

«Natarsid Natarsid ma bishtar hastim», «non abbiate paura, noi siamo di più». Il messaggio rimbalza di cellulare in cellulare e di bocca in bocca tra le ragazze che scendono in strada in Iran ormai da tre mesi. Dal 16 settembre, giorno della morte di Mahsa Amini, la ragazza arrestata dalla polizia morale per qualche ciocca di capelli sfuggita al velo. La loro protesta è diventata la protesta di un intero Paese, tanto che il silenzio iniziale ha dovuto cedere il posto alle prese di posizione internazionali.

Dopo il nuovo pacchetto di sanzioni approvato il 12 dicembre dal Consiglio Affari esteri, il Consiglio europeo giovedì 15 dicembre ha inserito nella bozza di conclusioni la ferma condanna delle esecuzioni dei manifestanti e del ricorso alla pena di morte. Il giorno precedente le Nazioni Unite hanno approvato con 29 voti a favore (tra cui l’Italia), 8 contrari (tra cui Cina e Russia) e 16 astenuti una risoluzione proposta dagli Usa per rimuovere subito l’Iran dalla Commissione sulla condizione delle donne. Un cambio di marcia. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha annunciato che convocherà l’ambasciatore iraniano designato non appena avrà presentato le credenziali al capo dello Stato, forse a metà gennaio: «Gli manifesterò l’indignazione del governo italiano chiedendo una risposta credibile sulla tutela dei diritti umani». Lo stesso farà l’Olanda.

Pane e diritti

Le ondate di protesta hanno attraversato il Paese più volte negli ultimi tredici anni, a partire dalle manifestazioni seguite alle elezioni presidenziali del giugno 2009. Il presidente uscente Mahmud Ahmadinejad venne dichiarato vincitore, ma il candidato moderato Mir Hosein Musavi denunciò brogli elettorali. Le manifestazioni furono soffocate: chiuse le università a Teheran, censurati siti web, bloccate comunicazioni tramite cellulare e negata la libertà di manifestare. Nel 2017, invece, i motivi della protesta sono stati soprattutto economici: diversi gruppi sociali dei contesti più svantaggiati si sono mobilitati contro la diminuzione di sovvenzioni e l’aumento dei prezzi di carburante e generi alimentari. Non esisteva un coordinamento e le proteste finirono nel nulla, per poi riaccendersi due anni dopo quando a scendere in piazza furono i lavoratori e la piccola borghesia di cittadine e periferie dei centri urbani. Ancora una volta la repressione ebbe la meglio.

Questa volta la scintilla è partita dalle donne. La morte di Mahsa Amini ha risvegliato la rabbia, dicono i commentatori internazionali. Alle giovani si sono unite le adulte e le anziane, e poi anche i ragazzi e gli uomini. Manifestazioni e scioperi: alle richieste di diritti e libertà delle classi più colte si sono sommate le richieste di condizioni di vita migliori della parte più povera della società. «Le sanzioni hanno intaccato l’economia e si è creato un contesto di inflazione e disoccupazione, che si è aggiunto alla mancanza di diritti. Non avere soldi, lavoro e libertà fa dire a questi ragazzi: cosa vivo a fare? Sono consapevoli di avere giacimenti importanti nel loro Paese e di poter vivere in condizioni migliori e in libertà» osserva Darya Majiri, imprenditrice esule da 40 anni e presidente dell’associazione Donne 4.0. «Non chiedono più riforme, chiedono un cambio totale della forma giuridica dello Stato e della Costituzione, una repubblica laica e democratica. L’Europa, che sta facendo dichiarazioni importanti, dovrebbe dirsi pronta a togliere le sanzioni quando saranno riconosciuti i diritti civili. Questo darebbe speranza ai giovani che sono disposti a morire».

Della stessa opinione Zahra Toufigh, avvocata e attivista per i diritti umani, in Italia dal 2005, tra le fondatrici dell’associazione “Donne libere iraniane”: «Chiediamo di obbligare l’Iran a far accedere la Commissione diritti umani dell’Onu all’interno del Paese, perché siano verificate le condizioni nelle carceri. Chiediamo agli Stati di interrompere le relazioni diplomatiche e commerciali con l’Iran. La comunità internazionale deve capire che la repubblica islamica non ha più legittimità per il popolo iraniano». Toufigh è ottimista: «Non si invocano più riforme per il cambiamento. Gli iraniani sono esausti, impoveriti, ma colti e consapevoli dei propri diritti. Stavolta vogliono l’abolizione del regime. È una rivolta per la democrazia e la libertà».

Esecuzioni e stupri

Dall’inizio delle proteste sarebbero oltre 400 i morti e migliaia gli arrestati, per lo più liceali e universitari. «Nessuno informa le famiglie su dove vengano portati i loro figli», racconta Toufigh. «Molte ragazze sono state abusate e stuprate. Spesso i liceali vengono detenuti nei centri di psichiatria. Alcuni, tornati a casa, si sono suicidati». L’avvocata denuncia i processi lampo dopo gli arresti, con il divieto di ricorrere ai legali di fiducia e la nomina di avvocati d’ufficio da parte dei tribunali rivoluzionari, «per nulla indipendenti». Così è accaduto ai due manifestanti 23enni giustiziati negli ultimi otto giorni, dopo la condanna per il reato di muharebeh, “guerra contro Dio”.

Il rapporto annuale di Iran Human Rights Monitor ricorda che l’Iran detiene da 43 anni il triste primato del più alto tasso di esecuzioni pro capite al mondo: nel 2022 sono state più di 550. «Le condanne a morte stanno aumentando», riferisce Toufigh. «Alimentare un clima di terrore è il modo con cui il regime tenta di fermare le proteste». Insieme alle minacce sulle comunicazioni: il ministro degli Interni ha appena annunciato che il cyberspazio sarà completamente bloccato.

di Monica D’Ascenzo e Manuela Perrone

Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/iran-tre-mesi-lotta-i-diritti-AEm2eUPC