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Tra giovedì e venerdì si è svolta a Parigi un’importante riunione internazionale tra leader di Stato. I temi sul tavolo? Clima, povertà, sviluppo, cooperazione. In una frase: la sostenibilità del nostro futuro. Non si decideva niente di preciso, ma è stato comunque un evento chiave dell’anno (ti racconto le conclusioni nel prossimo blocco). Diciamo era una di quei momenti da “spirito del tempo”, che influenzano lentamente il sentire comune.

Beh, l’Italia non c’era. O meglio, era rappresentata da Edmondo Cirielli, viceministro degli esteri. C’erano Emmanuel Macron, Urusula Von Der Leyen, Olaf Scholz, Janet Yellen. 40 world leaders. Hanno pure scritto una lettera aperta piuttosto importante: “Una transizione verde che non lasci nessuno indietro” (qui in originale, qui in italiano).

C’erano la premier delle Barbados, che qualche anno fa ha lanciato la Bridgetown initiative per cambiare le regole del debito dei Paesi e rivedere i meccanismi della Banca Mondiale (spiego sotto). Vabbè, hai capito. Meloni non sembrerebbe essere stata invitata per davvero, aveva appena incontrato Macron per conto suo e c’è un po’ di gelo tra i due da mesi, mentre Tajani era occupato.

Altro elemento della storia: qualche giorno prima il Consiglio Affari Energia dell’Unione europea, riunito a Lussemburgo, ha adottato a maggioranza qualificata la Nature Restoration Law. Un importante pacchetto di misure per il ripristino degli ecosistemi, la difesa della biodiversità, la lotta al climate change. Indovina? L’Italia ha votato contro. Le motivazioni che ha dato il nostro ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin sono state un po’ fumose. “Inapplicabile e insostenibile per le categorie interessate, tra cui agricoltura e pesca” si legge nel comunicato. Il ministero sostiene che non sia chiaro se e come l’Europa aiuterà economicamente gli Stati a portare avanti le iniziative che la legge renderebbe obbligatorie.

Terzo tassello: entro il 30 giugno l’Italia dovrebbe presentare a Bruxelles l’ormai fantomatico Pniec, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030. Un fondamentale strumento legislativo e burocratico che serve a impostare la politica energetica dei prossimi sette anni. Indovina? È ancora tutto per aria e probabilmente alla scadenza non arriveremmo in tempo. Ho già raccontato nelle scorse settimane anche del Piano di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc, se sei in fissa con gli acronimi): in bozza dai tempi del governo Gentiloni ma fondamentale per reagire al meteo impazzito degli ultimi anni.

Perché siamo così indietro con i compiti? Da una parte per il gioco delle parti: il governo destra-centro vuole manifestare una certa riluttanza verso le scelte prese dall’Unione europea. In questi giorni stanno litigando profondamente per la ratifica del Mes (Meccanismo europeo di stabilità): manchiamo solo noi e quindi ogni altra nostra mossa dentro l’Ue fa parte del grande braccio di ferro Roma-Bruxelles.

Ma non è solo una questione di tattica politica. La mia impressione è che ci sia una forte miopia strategica. L’incapacità di giudicare le questioni in valore assoluto, e capirne le priorità. Mi sembra, oggi più che mai, limitante prendersi cura dell’Italia, solo dell’Italia, nascondendo la testa sotto la sabbia. Da una parte vogliamo rilanciare la natalità, fare più figli per gettare le fondamenta di un’Italia più forte e popolata, Meloni ce lo ripete ogni giorno (ce l’ha fatto dire pure da Elon Musk!), ma allo stesso tempo il governo pensiamo all’ambiente, al mondo dove questi nuovi italiani dovranno vivere. È paradossale.

Nascondiamo la testa sotto la sabbia, spaventati dagli accordi internazionali, arrabbiati con l’ordine globale, rancorosi con chi prende decisioni sopra di noi, ma agguerriti anche con chi da fuori protesta, manifesta, vive: attivisti, amanti dei rave party, famiglie arcobaleno. Ogni forza politica e ogni governo è legittimato a guardare a destra o a sinistra, alla conservazione o al progressismo, vivaddio è la democrazia, ma tutti dobbiamo guardare avanti. Non solo indietro. Avanti.

di NICOLAS LOZITO

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