Tempo di lettura: < 1 minuto

L’Okjokull, un ghiacciaio che da tempi immemorabili si ergeva su quasi venti km quadrati di suolo islandese, oggi è una misera striscia di ghiaccio inerte, e nei prossimi 200 anni potrebbero essere dichiarati morti anche tutti gli altri ghiacciai dell’isola. Ma prima di allora, sulla terra intera, i nostri figli e nipoti vivranno già in un ambiente molto diverso da quello di innumerevoli generazioni del passato: l’aumento delle temperature e del livello dei mari e lo stravolgimento chimico delle loro acque provocati dalle attività umane avranno distrutto ecosistemi millenari, potenziato uragani e inondazioni, eroso terre abitabili e coltivabili e costretto a migrazioni di massa le specie viventi, compresa la nostra. E allora perché restiamo immobili, o quasi? Forse perché quei cento o duecento anni non li sentiamo così vicini, e perché gli appelli allarmati degli scienziati sul “riscaldamento globale” o sulla “acidificazione degli oceani” non riescono a toccarci cognitivamente ed emotivamente: resteranno rumore bianco finché il passato collettivo, i miti, la fantasia non consegneranno loro un’anima, consentendoci d’interiorizzarne un’immagine e un significato. È questo il compito che si è dato Magnason, un narratore che alla scienza e all’attivismo ambientale ha dedicato la vita. Intrecciando storie di famiglia, conversazioni future tra figlie e pronipoti, interviste al Dalai-lama, incursioni nella poesia scaldica e in quella romantica, scoperte di nessi inaspettati, come quello tra Auohumla e Kamadhenu, mucche ancestrali di mitologie tra loro lontane, Il tempo e l’acqua “racconta” i dati scientifici, li immerge nel patrimonio culturale comune per investirli di senso, e aiutarci a fare un piccolo passo più in là.

S. MAGNASON
Il tempo e l’acqua,
2020, Ed. Iperborea,
pagg. 300, euro 18,52.