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La parità di genere, le forme di lavoro agile e di trasporto eco-compatibile: il fattore sociale dei parametri ESG può fare la differenza per una nuova alleanza tra datore di lavoro e lavoratore. Le normative per promuovere il lavoro sostenibile e tutti i vantaggi per le pmi

Il dibattito mainstream sull’ESG viene prevalentemente focalizzato sul tema della transizione ecologica (fattore Environmental), i cui obiettivi sembrano interessare e coinvolgere solo le grandi imprese, attesi gli investimenti richiesti.

Occorre, invece, allargare lo sguardo, cogliendo i principi a fondamento di tutti i criteri ESG. Di seguito, concentreremo l’attenzione sul fattore “sociale” dell’ESG, con particolare declinazione nella nuova concezione di un “lavoro sostenibile”, cercando di individuare alcuni strumenti operativi, sui quali l’imprenditore può, senza necessità di ingenti investimenti, intervenire strategicamente.

È forse proprio il fattore “sociale” quello da cui cominciare per puntare ad un’azienda “sostenibile”, attraverso l’adozione di politiche che, ottimizzando la qualità del rapporto vita-lavoro delle proprie risorse umane, possano portare ad una crescita green and friendly dell’impresa.

Anche le PMI sono chiamate a familiarizzare con l’acronimo ESG. Occorre abituarsi all’idea che il rispetto dei parametri ESG (in tutto o in parte) non solo dovrà diventare una prova di sensibilità imprenditoriale all’innovazione, ma più concretamente, sarà uno degli elementi di valutazione degli istituti bancari per l’erogazione di finanziamenti e prestiti. Ma non solo.

Le PMI non potranno rimanere sorde al richiamo delle politiche sottese al ESG, anche in ragione della loro appartenenza a catene distributive di beni e servizi.

Al pari di molte certificazioni internazionali (una fra tutte, la SA8000 – Social Accountability System), la conformità della grande azienda ai principi ESG verrà perseguita, riconosciuta e certificata solo se i medesimi principi verranno pretesi e rispettati da tutta la catena della filiera produttiva (c.d. supply chain), dal ché il prevedibile inserimento nei contratti di clausole e procedure di conformità ai parametri di sostenibilità.

Gli obiettivi di intervento sul fattore “sociale”

La rivisitazione e implementazione di politiche aziendali che riportino al centro l’umanizzazione del rapporto tra datore di lavoro e risorse umane, deve essere preceduta dall’individuazione degli obiettivi di intervento che l’impresa vuole perseguire.

Fra questi, rivestono sicuramente un ruolo preminente:

  • la parità di genere, oggi consacrata dal conseguimento della certificazione di cui al nuovo art. 46-bis del D.lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità),
  • la conciliazione tra vita privata e lavoro, attraverso un’adeguata e personalizzata valutazione dello smart working e del telelavoro,
  • il supporto a forme eco-compatibili di trasporto casa – lavoro, perseguibile attraverso politiche di mobility management
  • l’ottimizzazione della prestazione lavorativa, attraverso l’adozione di modalità di lavoro “intelligenti”.

Gli strumenti normativi per la parità di genere

Sul piano delle politiche del lavoro, occorre segnalare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede, alla “missione n. 5”, l’attuazione di politiche del lavoro, che puntino ad accompagnare il mercato del lavoro verso una trasformazione fondata sulla parità di genere.

È qualcosa in più, ma soprattutto di diverso dall’imposizione ex lege delle “quote rosa”, che spesso sviliscono l’effettiva competenza a favore di pregiudizi di accesso a posizioni apicali, non per merito, ma per “costrizione”. È un percorso che, partendo da sensibilità e consapevolezza, preveda per tutto il percorso lavorativo, l’applicazione ed il monitoraggio di criteri omogenei e paritetici per uomini e donne.

Sono ormai noti i dati (impietosi) relativi alle differenze retributive e di opportunità di carriera che segnano il solco tra lavoratori e lavoratrici: solco che contraddistingue l’Italia tra i Paesi europei con il peggior tasso di occupazione femminile.

Significativi i dati riportati nelle “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere” pubblicato il 16 marzo 2022 dal Dipartimento per le pari opportunità: la nascita di un figlio comporta, per una lavoratrice italiana, la riduzione della probabilità di continuare a lavorare e, in ogni caso, una perdita reddituale nei 24 mesi successivi alla nascita del figlio; le donne in posizioni manageriali in Italia sono solo il 27% del totale.

Il legislatore italiano, forse consapevole di tale divario, sulla scia dell’incentivazione di politiche volte ad una concreta e sostanziale parità di genere tra uomo e donna in ambito lavorativo (v. PNRR), con la l. 162/2021 ha introdotto un nuovo articolo nel Codice delle pari opportunità (art. 46-bis) ,che con decorrenza dal primo gennaio 2022, ha istituito il sistema della certificazione della parità di genere “al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere…” nell’impresa.

In attuazione della citata disposizione, le citate Linee Guida descrivono i principi ai quali uniformarsi per conseguire la certificazione UNI/PdR 125:2022.

Corollario di tale norma (e da incentivo all’impresa), è l’art. 47 del d.l. 77/2021 (come modificato dalla legge di conversione n. 108/2021 e ss.mm.ii), che ha introdotto la possibilità di ottenere punteggi aggiuntivi nelle procedure di evidenza pubblica per tutte quelle imprese che abbiano “rispettato i principi della parità di genere e adottato specifiche misure per promuovere le pari opportunità generazionali e di genere, anche tenendo conto del rapporto tra uomini e donne nelle assunzioni, nei livelli retributivi e nel conferimento di incarichi apicali”.

Le stazioni appaltanti potranno, quindi, prevedere, nei bandi di gara, requisiti premiali o riconoscere punteggi aggiuntivi agli offerenti che abbiano rispettato i principi della parità di genere.

Dalla disamina di tali disposizioni emerge come il legislatore nazionale sia consapevole della necessità di guidare gli operatori economici verso un nuovo approccio all’attività di impresa; approccio che deve essere necessariamente focalizzato sulle reali competenze professionali e che prescinda dal genere del personale dipendente. Un approccio meritocratico e paritetico che punti all’emersione delle competenze delle risorse umane in una prospettiva di crescita reciproca.

Come incentivare la parità di genere in azienda

Da un punto di vista pratico e operativo, l’imprenditore, che deciderà di attuare politiche lavorative “paritarie” potrà, previa disamina dello status organizzativo aziendale:

  • Introdurre processi di gestione e sviluppo delle risorse umane, che favoriscano l’inclusione e la parità di genere avendo specifico riguardo: ai processi di selezione, alla formazione, alla garanzia del medesimo livello retributivo a parità di competenze, nonché alla “protezione” della lavoratrice e del padre nel periodo pre e post maternità, ivi incluso un’adeguata formazione e aggiornamento;
  • Introdurre politiche del lavoro e aziendali fondate sul coinvolgimento attivo del personale, all’uopo predisponendo procedure, che permettano ai dipendenti, anche in forma anonima, di esprimere le proprie opinioni e suggerimenti o, comunque, poter segnalare molestie e atteggiamenti discriminatori;
  • Introdurre criteri paritetici per le progressioni di carriera;
  • Introdurre sistemi di governance che garantiscano l’accesso paritetico – in base a competenze e requisiti – agli organi di indirizzo e controllo;
  • Istituzione di un organismo di vigilanza a composizione paritetica con funzioni di monitoraggio e proposte di modifica delle procedure;
  • Individuazione, ai fini della partecipazione a consorzi e/o reti di impresa di procedure di adeguamento ai principi della parità di genere.

L’impatto della pandemia sulle forme di lavoro agile

Se la pandemia da Covid-19 ha “costretto” le imprese, inizialmente con grande diffidenza, a ricorrere a forme di lavoro agile sui generis, caratterizzate dallo svolgimento della prestazione lavorativa solo dalla propria abitazione, la stessa pandemia è stata occasione per ripensare al modus di prestare la propria attività.

Il sondaggio compiuto dall’Istituto Nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP) del 26 gennaio 2022 ha evidenziato che “il 46% dei lavoratori vorrebbe continuare a svolgere la propria attività in modo agile almeno un giorno e quasi 1 su 4 tre o più giorni a settimana”, avendo gli stessi riscontrato dei benefici dal punto di vista della qualità del rapporto casa – lavoro, nonché sulla loro stessa produttività.

Al di là dei dati, è di tutta evidenza che l’implementazione di politiche di lavoro agile (c.d. smart-working) o di telelavoro comporti una sostanziale rivisitazione dell’attuale modello lavorativo, ma ancor prima dell’approccio mentale al lavoro, rendendosi necessario un rafforzamento della relazione di fiducia tra l’imprenditore – datore di lavoro e i lavoratori (da alcuni definita “nuova causa collaborativa e partecipativa del contratto di lavoro”).

 

Fonte: https://www.agendadigitale.eu/smart-city/il-fattore-sociale-nellesg-come-attivare-strumenti-operativi-per-il-lavoro-sostenibile/