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Enrico Giovannini, 64 anni, dal febbraio 2021, ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims), nel governo Draghi, conta sulle donne per rendere l’Italia un Paese più sostenibile e inclusivo. Perché anche davanti ai rincari energetici provocati dalla guerra, «non dobbiamo rallentare il percorso sulla sostenibilità, anzi dobbiamo accelerare», sostiene. Per incentivare ad assumere più donne e comare il gap anche nel suo ministero, tradizionalmente composto da molti ingegneri uomini, Giovannini ha dato l’esempio: su tre capi dipartimento, oggi due sono donne. In questa intervista parla, inoltre, di Pnrr e di rigenerazione urbana.

 

Ministro Giovannini, che cosa fa il Mims per favorire la partecipazione delle donne al mondo del lavoro?

«Appena sono arrivato al Ministero ho inserito nella direttiva sugli obiettivi dei direttori la necessità di elaborare un piano per superare le disuguaglianze di genere.Il piano sarà pronto tra breve, ma nel frattempo stiamo assumendo nuovo personale anche tenendo conto di questo obiettivo. Inoltre, dei tre capidipartimento che ho nominato, due sono donne. Infine, sempre l’anno scorso ho scritto ai presidenti delle autorità portuali e ai vertici delle aziende più vicine a noi, come Fs, Rfi, Anas, invitandoli ad assumere un approccio proattivo sulla parità di genere».

Con quali risultati?

«Sulla base di queste sollecitazioni, Assoporti ha promosso un manifesto per affrontare il tema dell’empowerment delle donne nei porti. Oggi si svolgono molte attività nei porti, anche di carattere economico e tecnico, in cui la parità può essere raggiunta. Non dimentichiamo che il Pnrr prevede investimenti importanti sui porti e che uno degli elementi trasversali del Piano è proprio quello di favorire l’occupazione di giovani e di donne. Coerentemente, con la ministra Bonetti e gli altri colleghi del governo, nel decreto-legge n. 77 dell’anno scorso, che stabilisce le regole degli investimenti del Pnrr, abbiamo inserito condizionalità e premialità per le imprese che assumono donne e giovani».

 

In che cosa consiste la premialità?

«Le imprese che presentano un’offerta per aggiudicarsi un appalto, se si impegnano ad assumere giovani e donne e rispettano l’uguaglianza di genere, ottengono un punteggio più alto. D’altra parte, vogliamo che questo approccio diventi uno standard. Per questo, abbiamo introdotto i medesimi principi nella legge delega di riforma del Codice degli appalti appena votata dal Senato e che ora andrà alla Camera per essere approvata entro giugno. Quindi condizionalità e premialità di questo tipo non saranno solo legate ai fondi del Pnrr, ma varranno per tutti gli appalti pubblici».

Il ministero dei Trasporti oggi è diventato il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili. Ma che cosa significa infrastruttura sostenibile?

«Appena nominato ministro ho proposto di cambiare nome al ministero sapendo bene che se la dizione “mobilità sostenibile” ormai è entrata nel lessico comune, quella “infrastruttura sostenibile” era considerata un ossimoro. Im realtà, alcuni anni fa il G20 ha definito in sei punti cosa sono le infrastrutture sostenibili e lo sforzo compiuto in questo anno è stato trasformare quei punti in realtà. Ad esempio, una infrastruttura va valutata non solo per il suo valore economico, ma anche per l’impatto sociale e ambientale. Questo significa tenere conto di tutti questi aspetti quando si fa un progetto. Per questo abbiamo modificato le norme e ora gli appalti vengono svolti su un progetto di fattibilità tecnico-economica che contiene una relazione di sostenibilità, che spieghi, ad esempio, come il progetto dell’opera e la scelta dei materiali riduca al minimo l’impatto ambientale, nel rispetto del principio contenuto nel Pnrr del “do no significant harm”, cioè di non produrre un danno significativo all’ambiente».

Le nuove opere progettate nell’ambito del Pnrr rispettano questi paletti?

«Nei 61 miliardi di nostra competenza, il 70% viene considerato favorevole alla lotta al cambiamento climatico e il 100% è coerente con il principio del “ Do not do significant harm”, altrimenti la Commissione europea non avrebbe validato il Piano».

Quali sono gli altri principi previsti dal G20 per considerare un’infrastruttura sostenibile?

«Un altro principio sostiene che dobbiamo considerare il valore dell’opera durante tutto l’arco della sua vita, anche quando ha esaurito la sua funzione, in un’ottica di economia circolare. Bisogna perciò immaginare fin dall’inizio come riutilizzare i materiali impiegati una volta che l’opera diventerà obsoleta. Un terzo aspetto riguarda la governance, cioè il coinvolgimento dei cittadini e delle comunità locali nella realizzazione dell’opera attraverso il cosiddetto “dibattito pubblico”. Questo strumento di confronto con chi poi l’opera la utilizzerà è stato da tempo inserito nell’ordinamento, ma di fatto negli ultimi anni molto trascurato perché si riteneva rallentasse il processo di realizzazione. Io invece voluto rimetterlo al centro dell’iter, prevedendo modalità più semplici e rapide, ma rendendolo obbligatorio, nell’ambito del processo di reingegnerizzazione delle procedure per gli appalti del Pnrr».

Che cosa significa «reingegnerizzazione»?

««Abbiamo non solo semplificato le procedure per gli appalti del Pnrr, ma abbiamo modificato in profondità il processo e le diverse fasi che portano all’aggiudicazione di un’opera, non solo per ridurre i tempi, ma anche per tenere conto dei principi del G20. Ad esempio, nel passato il dibattito pubblico si indiceva quando il progetto era già definitivo, per cui in caso di cambiamenti richiesti da chi partecipava al confronto si doveva ricominciare daccapo. Oggi invece tutto si svolge intorno al progetto di fattibilità tecnico-economica e i progettisti, nel preparare il progetto definitivo, tengono conto di quanto emerge dal dibattito pubblico.

E’ vero che l’Italia è in ritardo con i progetti?

«Nessun ritardo, siamo perfettamente in linea i tempi previsti dal Pnrr per le attività del Mims, anzi, nel 2021 abbiamo anche anticipato due riforme che erano previste per il 2022. Quanto ai fondi, a fine 2021 il Mims aveva già distribuito a tutti i soggetti attuatori il 99% dei 61 miliardi di sua competenza e tutto si sta svolgendo secondo le tempistiche, compresi i progetti dell’alta velocità. Ma non ci siamo fermati al Pnrr, perché questo Piano rappresenta solo il primo tempo della partita di innovazione del Paese. Non sono sufficienti i quattro anni previsti dal Piano, ma abbiamo bisogno di 10 anni di investimenti per cambiare il Paese, anche nella logica della transizione ecologica e della decarbonizazione dell’economia».

 

Cosa prevede il secondo tempo della partita?

«Ai 61 miliardi stanziati dal Pnrr abbiamo aggiunto altri 41 miliardi: 36 miliardi nella legge di bilancio per investimenti fino al 2030 e quasi 7 miliardi dall’anticipazione del fondo sviluppo e coesione per le infrastrutture stradali, ferroviarie e idriche. Per quanto riguarda le strade, il Pnrr non consentiva investimenti significativi in coerenza con il principio del “do no significant harm”. Tuttavia, sapendo che il nostro sistema stradale ha bisogno di manutenzione, abbiamo stanziato 14 miliardi con la legge di bilancio e il fondo di sviluppo e coesione. Per le ferrovie ai quasi 37 miliardi del Pnrr abbiamo aggiunto circa 18 miliardi e per le infrastrutture idriche oltre a 1,8 miliardi previsti dal Pnrr, abbiamo stanziato quasi un altro miliardo. Al trasporto rapido di massa, cioè le metropolitane, erano destinati 3,6 miliardi, cui abbiamo aggiunto altri 5 miliardi da altri canali di finanziamento. Perciò per giudicare lo sforzo di programmazione e di progettazione dobbiamo guardare oltre i termini temporali previsti dal Pnrr e quindi pensare agli oltre 100 miliardi di investimenti che abbiamo aggiunto nell’ultimo anno a quelli che gestisce ordinariamente il ministero».

Sono sufficienti per far diventar el’Italia più sostenibile e inclusiva?

«Purtroppo no, anche se si tratta di uno sforzo senza precedenti. Ad esempio, non bastano per riqualificare le nostre città, per sostituire tutti gli autobus, per manutenere le nostre strade, per digitalizzare tutte le infrastrutture. Quindi le partnership tra pubblico e privato sono essenziali. Ovviamente, i privati richiedono prima di tutto un rendimento, ma questo oggi è possibile grazie a una programmazione di medio-lungo termine. Pensiamo al tema della rigenerazione urbana: Milano è un caso straordinario di partnership pubblico-privato, pensi all’area Expo, ma è un modello che si può replicare in molte altre città».

Che cos’è per lei la rigenerazione urbana?

«Non è solo la riqualificazione di alcune aree della città, la rigenerazione è anche un nuovo modo di vivere insieme. E rappresenta una grande opportunità di business per i capitali pazienti. Penso alle società di gestione, ai fondi di investimento, alle assicurazioni».

Milano fa da guida. Dov’è Roma?

«Roma ha davanti a sé grandi occasioni di rilancio: nel 2025 l’appuntamento del Giubileo, che sarà il primo grande evento globale dopo la pandemia. Poi nel 2030 (potenzialmente) l’Expo, per cui il Comune di Roma ha lanciato la sua candidatura con lo slogan “il futuro è la nostra storia”, e nel 2033 l’anniversario dei 2000 anni dalla morte di Cristo. Si tratta di eventi che hanno il potenziale di trasformare la città, non solo di creare padiglioni espositivi o nuovi sistemi di trasporto , ma di dare un senso nuovo a una città che soffre di tanti problemi e troppi ritardi. Però il Pnrr ci ha insegnato un nuovo modo di operare: chi ha i progetti, riceve i finanziamenti. Perché gli eventi diventino una grande opportunità, servono le migliori competenze per concepire progetti di qualità. Ricordo che nel Pnrr, nell’ambito del programma PinQua sulla qualità dell’abitare,Roma avrebbe potuto avere 100 milioni, ma la precedente amministrazione non ha presentato progetti».

L’Expo di Roma 2030 punta su “Persone e territori: rigenerazione urbana, inclusione e innovazione”. Roma si candida a un nuovo modello di città: inclusivo, interconnesso, sostenibile e condiviso.

«Sotto questo aspetto l’Italia ha aperto una strada con l’Expo di Dubai, dove il Padiglione Italia è stato il primo a ricevere la certificazione internazionale di sostenibilità. L’intera infrastruttura è stata disegnata e costruita all’insegna della sostenibilità e ha vinto anche premio come il padiglione più bello. Perché non possiamo ripetere questi successi? L’Expo per Milano è stata una straordinaria occasione di rilancio della città, perché non farlo anche per Roma? L’Italia ha delle straordinarie aziende leader di sostenibilità».

La guerra in Ucraina, con i rincari dell’energia e il rialzo dell’inflazione, rischia di frenare la sostenibilità in Europa?

«E’ un punto di biforcazione come lo è stato il Covid, come sono tutte le crisi. Nel 73 la prima crisi del petrolio fu drammatica perché accompagnata da disoccupazione e inflazione. Ma quella crisi ha dato una straordinaria spinta al sistema capitalistico, facendolo diventare più efficiente dal punto di vista energetico. Abbiamo il dovere di fronteggiare le crisi, che purtroppo colpiscono i più deboli, come abbiamo visto con la pandemia. Ma sta a noi europei e noi italiani decidere come rispondere in modo positivo, investendo sul nostro presente e sul nostro futuro. Sono convinto che dobbiamo accelerare, non rallentare sulla sostenibilità. E dobbiamo riconoscere che il settore privato ha reagito in modo straordinario anche alla drammatica guerra in Ucraina. Un problema di reputazione ha spinto tantissime imprese a dire basta con i combustibili fossili e ora, per non essere penalizzato in termini di reputation dai consumatori, stanno facendo le scelte giuste anche rispetto al dramma dell’Ucraina. L’attenzione del sistema pubblico al tema della sostenibilità, che a livello europeo ha fissato ambiziosi obiettivi ambientali, si è estesa anche al settore privato. Le aziende non possono permettersi di rallentare la transizione, al contrario devono accelerarla perché è una grande opportunità di business. E la politica deve accompagnare questa transizione . Anche davanti alla tragedia della guerra in Ucraina l’Europa sta discutendo come accelerare, non frenare il suo percorso verso la sostenibilità energetica e ambientale».

Fonte: https://www.corriere.it