Categorie: Editorial
Tipo di Contenuto: aziende | greenhushing | Greenwashing
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Molte aziende oggi scelgono di intraprendere iniziative green senza renderlo pubblico. Una strategia del silenzio criticata da alcuni ma in realtà con diversi risvolti positivi

Mentre tante aziende corrono a pubblicizzare il proprio giardino come più verde di quello del vicino, altre decidono al contrario di non dare enfasi alle iniziative che intraprendono a protezione dell’ambiente, sposando quello che viene definito con il termine greenhushing, ovvero il silenzio sul verde.

Spesso tale comportamento viene criticato da alcuni comunicatori, in quanto farebbe perderealle imprese che lo praticano l’opportunità di posizionarsi agli occhi dei consumatori come soggetti attivi nella lotta al cambiamento climatico e nella difesa dell’ambiente. Un’altra obiezione è che, con l’assenza di comunicazione, soprattutto da parte dei grandi nomi, si potrebbe perdere un effetto traino, che potrebbe fungere da stimolo per le imprese più piccole a iniziare percorsi virtuosi.

C’è anche chi pensa invece che la scelta del silenzio sia legata ai timori delle aziende stesse di intraprendere percorsi che all’inizio appaiono semplici ma che poi, passo dopo passo, presentano un conto sempre più crescente in termini di azioni da adottare e mancate opportunità da cogliere nel momento in cui esse si presentano.

Altro rischio paventato è poi quello del greenwashing, con le aziende sono accusate di esibire pratiche ambientali di facciata, senza alcun effetto benefico per l’ambiente.

A prescindere dalle varie considerazioni, un punto che va sottolineato è che, di fatto, il cammino verso la sostenibilità può essere impervio e i risultati non immediati o certi, a partire dalle compensazioni di CO2 tanto propagandate, ma sul cui effettivo funzionamento si possono nutrire vari dubbi (a partire dal caso Verra sui carbon credit), per passare ai materiali biodegradabili che poi si scopre che così tanto biodegradabili non sono e che, comunque, anch’essi hanno un impatto sull’ambiente, a partire dall’acidificazione dei suoli e delle acque marine.

Quel che è certo è che spesso i risultati di condotte considerate virtuose sono realmente valutabili solo attraverso studi ex post che richiedono tempo e analisi scrupolose. È quindi comprensibile che ci sia chi si muove con prudenza e che sebbene compia azioni a difesa dell’ambiente non ne faccia oggetto di campagne pubblicitarie che potrebbero presto rivelarsi boomerang laddove il consumatore di riferimento sia un soggetto attento e coscienzioso.

Un sano approccio, che per i credenti sembrerebbe ispirato al precetto evangelico che quando si fa del bene, la mano sinistra non deve sapere quel che fa la mano destra.

In tal senso, il greenhushing non mi sembra negativo come i comunicatori di professione tendono a dire, ma potrebbe diventare davvero un modello esemplare di chi agisce in concreto, senza sbrodolarsi addosso inutili lodi: alla fine il Pianeta è uno e qualsiasi cosa facciamo per proteggerlo, la facciamo per proteggere anche noi stessi. Un attivismo concreto e non sfoggiato probabilmente è la strada più efficace per difendere davvero l’ambiente.

 

DI Mario Di Giulio
Avvocato, si occupa dei temi della sostenibilità con particolare attenzione ai paesi in via di sviluppo. È co-fondatore dell’organizzazione non profit The Thinking Watermill Society che promuove lo scambio di idee