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Intelligenza artificiale, ma con un tocco di umanità. Ovvero basata su processori fatti di vere cellule nervose umane, i cosiddetti biocomputer. A discutere questo nuovo approccio “ibrido” all’informatica è oggi un’équipe di scienziati della Johns Hopkins University e di altri istituti di ricerca, che in uno studio appena pubblicato sulla rivista Frontiers in Science traccia la strada per realizzare un dispositivo a base di hardware biologico – neuroni umani in coltura, per l’appunto, chiamati organoidi cerebrali o brain-on-a-chip – che può essere programmato per risolvere problemi, e, più genericamente, svolgere determinate attività computazionali. “Abbiamo chiamato questo nuovo campo interdisciplinare ‘intelligenza degli organoidi’Oi – ha spiegato Thomas Hartung, della Johns Hopkins – e si è ormai raccolta una comunità di scienziati molto brillanti per sviluppare questa tecnologia, che riteniamo lancerà una nuova era di bioinformatica efficiente, veloce e potente”. A scanso di equivoci, va specificato che al momento l’idea è puramente teorica, come ha spiegato all’Ansa Chiara Magliaro, ricercatrice del Centro E. Piaggio all’Università di Pisa, aggiungendo però anche che “immagina in prospettiva di arrivare a una nuova generazione di computer bio-ispirati”.

biocomputer
FRONTIERS/JOHN HOPKINS UNIVERSITY

Cosa sono gli organoidi cerebrali

Come vi avevamo raccontato, la realizzazione di organi in provetta (cuore, reni, pancreas e così via) è una tecnica già usata da diversi anni, soprattutto per lo screening dei farmaci o per lo studio delle modifiche microstrutturali dei tessuti malati. Possono essere realizzati in diversi modi: a partire da cellule vive, come per esempio nel caso del progetto Nap (twiN-on-a-chip-brAins for monitoring individual sleeP habits, a cura proprio del gruppo di Magliaro), oppure con materiali artificiali. Qualche esempio: nel 2016 un team di scienziati della Vanderbilt University ha realizzato in laboratorio un micro-fegato che riproduce le condizioni di un fegato vero e fornisce informazioni per comprendere i sistemi di sopravvivenza delle cellule epatiche e consente di studiare gli effetti dei farmaci sui tessuti. Nel 2022 (ma non è stata la prima volta) un gruppo di ricercatori dell’Università di Toronto e di Montreal ha messo a punto un sistema che combina un’impalcatura polimerica e colture cellulari per riprodurre, strutturalmente e funzionalmente, il ventricolo sinistro del cuore: sarà utilizzato per studiare la funzione cellulare e quella dei tessuti, senza necessità di chirurgia invasiva o sperimentazione animale. E arriviamo anche al cervello: le cose sono effettivamente un po’ più difficili (d’altronde, come diceva il dottor Frankenstein“cuore e reni sono soltanto dei giocattoli. Io lavoro con il sistema nervoso centrale”), ma ci siamo riusciti lo stesso. Nel 2019 uno studio pubblicato sulla rivista Stem Cell ha descritto la realizzazione di un mini-cervello, da parte di un gruppo di ricercatori della University of California, San Diego, in grado di esibire un’attività cerebrale molto simile a quella del cervello dei bambini nati prematuramente; nel 2021, inoltre, un altro mini-cervello in provetta, realizzato dalla startup tecnologica Cortical Labs, è addirittura riuscito a “giocare” al videogioco Pong.

Tecnicamente, gli organoidi cerebrali non sono esattamente mini-cervelli del tipo di quelli appena descritti, ma ne condividono molti aspetti e caratteristiche, soprattutto in termini di struttura e “funzionalità”, tra cui lo svolgimento di (elementari) attività cognitive come apprendimento e memorizzazione. Perché, allora, provare a usare la pallida imitazione di un cervello umano per costruire un computer? Le ragioni sono parecchie, e tutte molto valide: “I computer tradizionali, basati sul silicio, sono certamente molto bravi a manipolare i numeri – spiega ancora Hartung – ma i cervelli sono molto più bravi ad apprendere informazioni. Per esempio, AlphaGo [l’intelligenza artificiale di Google che ha sconfitto il campione mondiale di Go nel 2016] si è ‘allenata’ studiando circa 160mila partite. Un essere umano dovrebbe giocare cinque ore al giorno per oltre 175 anni per arrivare allo stesso numero”. E ancora: il cervello umano, oltre a essere più capace di apprendere, è anche molto più efficiente di un computer: l’energia necessaria ad addestrare AlphaGo è stata superiore a quella necessaria ad “alimentare” un essere umano adulto per dieci anni. Non finisce qui, dal momento che anche in quanto a capienza non ci sono paragoni: “I cervelli hanno una capienza incredibile, dell’ordine dei 2500 terabyte. Stiamo raggiungendo i limiti fisici del silicio, dal momento che non possiamo inserire ancora più transistor sui chip. Il cervello, invece, è “cablato” in modo completamente diverso: ha circa 100 miliardi di neuroni, collegati su un numero enorme di punti di connessione. È una differenza di potenza enorme, comparata alla tecnologia attuale”.

Come potrebbero essere fatti? E quando?

Bene, ora dovrebbe essere chiaro il vantaggio derivante dall’avere in mano un computer che lavora con hardware biologico. Ma nella pratica come potrebbe essere fatto? Da questo punto di vista siamo ancora molto lontani dall’obiettivo: “Dobbiamo anzitutto riuscire a ingrandire gli organoidi cerebrali – dice Hartung – Al momento sono troppo piccoli, ciascuno di loro contiene circa 50mila cellule. Dobbiamo riuscire ad arrivare almeno a 10 milioni di cellule”. Inoltre, bisogna ancora sviluppare anche tutte le tecnologie per comunicare e “agire” sugli organoidi, ovvero per inviare loro informazioni, memorizzarle e leggere quello che stanno “pensando”. “Lo scorso agosto – continua lo scienziato – abbiamo sviluppato un dispositivo di interfaccia cervello-computer che è una sorta di elettro-encefalogramma per organoidi: si tratta di una specie di ‘cappello’ flessibile coperto di piccoli elettrodi in grado di raccogliere i segnali dagli organoidi e di inviargliene degli altri”. Per riuscire ad arrivare a una tecnologia funzionante, comunque, la strada è ancora molto lunga, e al momento è impossibile avere un’orizzonte temporale realistico.

L’etica delle Oi

Come per l’intelligenza artificiale, anche per l’intelligenza degli organoidi ci sono (saranno) questioni etiche da prendere in considerazione. Per esempio: una manciata di cellule umane in grado di imparare, ricordare e interagire con l’ambiente circostante potrebbe sviluppare una sorta di coscienza, anche in forma rudimentale? Potrebbe soffrire, o provare dolore? Quale rapporto avrebbero i “donatori” delle cellule cerebrali con gli organoidi generati? “Una parte fondamentale della nostra visione sull’intelligenza degli organoidi – scrivono in proposito gli autori del lavoro – è di svilupparle in modo socialmente ed eticamente responsabile. Per questa ragione stiamo lavorando con eticisti per definire un approccio di ‘etica incorporata’. Tutte le questioni etiche saranno valutate in modo continuo da gruppi di scienziati, etica e cittadini”.

Fonte: https://www.wired.it/article/intelligenza-artificiale-biocomputer-neuroni-umani-studio/