Categorie: Editorial
Tipo di Contenuto: azienda | leadership | manager
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L’esperienza di vita ci fornisce diverse lezioni. Innanzitutto, i mutamenti devono iniziare dall’alto ed essere basati su un solido “credo”: ogni leader dovrebbe conoscere la missione e i valori della propria azienda. I bravi leader sanno che questo equivale a qualcosa di più che semplici slogan da stampare  sui poster degli uffici, ma dev’essere usato per influenzare il processo decisionale e i comportamenti quotidiani. Gli amministratori delegati eccellenti vanno oltre: rafforzano e agiscono per uno scopo aziendale (il “perché?”), che non vuole dire produrre esclusivamente un profitto ma soprattutto portare benefici  alla società. Questa posizione, insieme a un approccio puntuale per dare priorità alle interazioni con gli stakeholder e un solido piano di resilienza aziendale, consente agli AD di ridurre al minimo l’esposizione dell’azienda ai rischi relativi ai clienti e agli stakeholder, e di capitalizzare nuove opportunità.

Le decisioni e l’autorità, poi, devono essere autenticamente delegate, e ci deve essere comprensione, impegno e capacità di adattarsi per assumere nuovi ruoli. Se i due fattori non sono concomitanti, la catastrofe è incombente. L’esperienza mostra che i nuovi ruoli devono essere appresi nel tempo, e non possono essere acquisiti dal giorno alla notte.

È importante che venga fornito un contesto di riferimento per chi gestisce i livelli inferiori, offrendo loro orientamenti e definizioni chiare della cultura e dei valori dell’azienda. In precedenza, le aziende si erano sempre affidate soprattutto all’integrità dei loro manager di vertice. Ora, con una leadership così ampiamente distribuita e più persone ai livelli inferiori che si confrontano su questioni etiche complesse, un contesto del genere diventa essenziale.

Ci sono prove crescenti che discutere le nuove impostazioni sia quasi più importante che definire la politica aziendale, e che il lavoro del leader consista innanzitutto nell’accelerare questo processo piuttosto che nel definirne semplicemente le regole.

I nuovi perché della leadership 

Durante il periodo di crescita e sviluppo successivi al conflitto mondiale, lo scopo della leadership s’incentrava soprattutto sul fare in modo che le operations fossero all’avanguardia e in funzionamento costante, con una crescita della produzione, del fatturato e ragionevoli ricavi finanziari. Negli ultimi decenni, le finalità aziendali danno invece maggiore importanza alla customer satisfaction. In parallelo, l’attenzione di ieri alla crescita dei volumi soccombe sotto la pressione  di prestazioni ottimali, anche quando questo significa riduzione più che crescita. Tutta una serie di nuove espressioni, quali customer orientation, customer-focused, market-driven, phygital market, non sono altro che esempi dei nuovi perché. Altri due nuovi motivi si delineano già all’orizzonte: la creazione d’impieghi che abbiano un senso e più ampie prospettive sociali.

 

Creare impieghi che abbiano un senso: quando la Nissan decise di ridimensionare una delle sue operazioni sussidiarie in Spagna, declinò anche il suo fatturato. Sembra infatti che i consumatori preferiscano acquistare da aziende di successo, misurate sulla crescita e non soltanto sui redditi annuali.
Ciò è comprensibile se si riconosce che i clienti costruiscono una relazione, e non mettono solo in atto una transazione singola. Alcune aziende iniziano a trovare complicato individuare nuovi candidati, che sono attratti da opportunità di carriera e da operations più redditizie. Tra i manager senior si va facendo strada l’opinione che i dipendenti, insieme ai consumatori e agli azionisti, siano gli interlocutori principali dell’organizzazione del futuro. I manager riconoscono ormai che il ridurre i costi debba essere sostituito da nuove forme di creazione del valore sul mercato del lavoro – l’unico modo sicuro di creare impieghi significativi non solo dal punto quantitativo, ma soprattutto  qualitativo.

 

 

Robert Jhonson

Founder & CEO of JRC