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“Il borgo è una città che ha fallito”.


Fallire. Sbagliare. Riuscire. Innovare. Questione di punti di vista, di parametri di giudizio. Di spazi e di tempi in cui la vita accade con i suoi eventi, e dove, forse, l’unico discrimine è tra solitudine e collettività. Che poi, non è che l’uno escluda l’altro, anzi: serve una persona per fare il primo passo, e altre n.° a fare tutti gli altri chilometri che separano l’origine da un’idea comune e comunitaria. È un po’ la storia di Samuel Lo Gioco, che l’Italia se l’è girata tutta, in camper, e dall’evangelizzazione dello smart working sta per arrivare a Paisà.

Su Linkedin, Samuel, sei “evangelizzatore” dello “smart working”. Perché?

“Perché ho anticipato i tempi, ancor prima della legge 81/2017 sul lavoro agile, realizzando un tour italiano: Smart Working Day. Questo non significa solo ‘lavoro da remoto’; il termine si riferisce al ‘lavoro intelligente’, quindi riguarda ‘welfare’, ‘capitale umano’, cultura del lavoro. Con Smart Working Magazine, la testata giornalistica fondata nel 2019 – spiega Samuel Lo Gioco – ho raccontato il ‘lavoro intelligente’ nei suoi diversi aspetti: settimana corta, innovazione, benessere aziendale, importanza del capitale umano”.

Lo smart working, quindi, come primo passo. La pandemia, il secondo, forzato e involontario, che ha reso urgente il cambiamento. Il terzo invece è stato un articolo del World Economic Forum, in riferimento al fatto che entro il 2026, in Italia, si sarebbero riesumati ben 2000 borghi, rendendoli idonei per i lavoratori a distanza. Da qui, l’idea di girare l’Italia.

“Bisognava innanzitutto rendersi conto della questione geografica, per aiutare e accelerare la trasformazione nei confronti della PA. Quindi, da ex camperista – racconta Samuel – ho ‘camperizzato’ un furgone, dotandolo di ufficio portatile, con l’idea di visitare i borghi italiani, e aiutare le amministrazioni di questi borghi nel realizzare un progetto sostenibile per combattere il problema dello spopolamento, attraendo il target dei lavoratori da remoto. Un progetto green a impatto zero, dove ho risolto l’emissione di anidride carbonica piantando alberi: tra gli altri, circa 60 nel milanese, un centinaio a Catania. Fra il 2021 e il 2022 ho conosciuto molte comunità, con l’idea di dover ‘innovare i boghi’. I risultati sono stati due: capire che i borghi non dovevano essere innovati, anzi, devono rimanere incontaminati dal progresso, per mantenere la loro unicità, senza forzarli a diventare una ‘città ristretta’. E poi, l’aver incontrato Sambuca di Sicilia, in provincia di Agrigento: qui ho trovato il potenziale per dar vita alla ‘destinazione 0’: la sede di Paisà”.

Che cosa sarà Paisà?

“Paisà è un modello che propone un nuovo segmento di turismo, lento e inclusivo. Lavora su due piani: il business to business e il business to consumer. Il B2C offre esperienze di “cittadino temporaneo” in un borgo autentico, con la possibilità di utilizzare anche spazi di coworking; il B2B offre alle aziende retreat e team building che uniscono formazione a un’esperienza human centerd. Un nuovo concetto, quindi, di ‘turismo esperienziale’, incentrato sul luogo, sulle sue tradizioni e su quello che ha da offrire intorno a sé, nella quotidianità della comunità locale”. La condizione di inclusività è parte fondamentale del modello, e permette di creare un ‘nuovo cittadino’, che ripopola i borghi vittime di spopolamento.

“Si tratta di consapevolezza: nella città siamo purtroppo diventati persone di passaggio; nei borghi siamo esseri umani – continua Samuel – e questo porta a ristabilire un equilibrio perduto a discapito dei valori sociali. Abbiamo smesso di credere nella comunità per colpa del senso di appartenenza agli ideali (politici, per esempio). La comunità trova il suo senso di appartenenza nella terra, nel territorio. Nel tempo abbiamo perso le realtà che aggregavano, come circoli Arci e pro loco, che dialogavano con le amministrazioni”.

Comunità è anche sinonimo di longevità. Lo dimostra il documentario su Netflix Blue zone, dove il ricercatore Dan Buettener ha cercato di scoprire i segreti di una lunga vita. Tra questi, l’impegno sociale: “Un forte legame col territorio porta a una forte appartenenza e a un impegno sociale per la comunità. Migliorare la vita della comunità aumento il senso di scopo comune. Oggigiorno si fa l’indispensabile per vivere bene, ma questo non significa avere il conto corrente pieno di soldi”, chiosa Samuel.

Da queste considerazioni: è il borgo che si deve fare città, o la città deve diventare borgo?

“Il borgo non deve farsi città, assolutamente, ma la città potrebbe fare qualcosa per diventare tanti piccoli borghi; dividersi in quartieri, per esempio, per ritornare al senso di appartenenza di una contrada. Un tempo c’erano bar ad ogni angolo, perché raccoglievano la gente fidelizzata a quella zona. Nella città chi sta soffrendo è la periferia: è inutile creare luoghi di aggregazione periferici, perché tanto ci si muove verso il centro e lì si crea, per una questione di mercato. È una concezione sbagliata: bisogna preservare il centro città e la sua identità, e rendere attrattiva e multietnica la periferia. Io sono toscano: Firenze non è più Firenze per colpa del turismo. Dobbiamo preservare il multiculturalismo storico e culturale, di cui l’Italia è l’esempio più bello”.

Una visione più completa, olistica, di quel che dovrebbe essere la vita. Considerare il molto attorno a noi, senza focalizzarsi sui singoli punti. Città, lavoro, rete sociale, vita: Paisà, e in generale il modello di vita lenta, è una sorta di rivoluzione, e di innovazione sociale, che critica la visione adimensionale di successo economico e realizzazione sociale. Per l’appunto: fallire, sbagliare, riuscire e innovare sono questioni di punti di vista. È a suo modo paradossale che da quei luoghi, dalle città fallite, possa nascere qualcosa di diverso, di più giusto e sano, dove le persone camminino insieme. Nuove comunità, dove ogni cittadino si possa sentire Paisà.