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«Innovazione significa lavorare con visione strategica per trovare soluzioni ai bisogni terapeutici ancora insoddisfatti, i cosiddetti unmet need» premette Onofrio Mastandrea, Vice President e General Manager di Incyte Italia, biotech nata 20 anni fa negli Stati Uniti per volontà di un gruppo di ricercatori e votata all’innovazione fin dalla fondazione. Incyte, presente in 14 Paesi, oggi conta più di 2.000 dipendenti a livello globale, di cui oltre 800 dedicati alla Ricerca & Sviluppo.

Nonostante sia una società relativamente giovane, Incyte vede in sviluppo circa 25 potenziali prodotti per patologie con alto bisogno terapeutico insoddisfatto, di cui alcune rare, e ha già sette prodotti approvati, a livello globale, in aree terapeutiche con elevati unmet need clinici, che spaziano dall’ematologia all’oncologia fino ad arrivare alla dermatologia.

«Incyte applica quotidianamente un approccio “science driven” in profondo accordo con la mission aziendale e si impegna a sviluppare candidati clinici ad alto grado di innovazione indipendentemente dalla dimensione della popolazione affetta. In Italia, solo nella seconda metà del 2022, abbiamo avuto l’approvazione di ben due farmaci per patologie rare: pemigatinib, per il trattamento del colangiocarcinoma, e tafasitamab, per il trattamento del linfoma diffuso a grandi cellule B».

« Di recente – continua – abbiamo anche ricevuto la positive opinion da parte del Chmp per una nuova terapia per la vitiligine, una patologia autoimmune cronica che si presenta con depigmentazioni cutanee e che causa una pesante disfunzione sociale – continua Mastandrea -. La vitiligine rappresenta la classica patologia in cui non si deve soddisfare solo un unmet need clinico, legato all’assenza di farmaci disponibili, ma anche un unmet need legato alla qualità di vita del paziente e/o del suo caregiver, che si vedono spesso limitati nel proprio benessere mentale e nella propria dimensione sociale. Pertanto questo impone che l’unmet need sia approcciato e valutato in maniera più sistemica».

Alla luce di questo, i modelli di valutazione dell’innovatività devono diventare dinamici, cioè in grado di evolversi in modo da catturare l’innovazione e i bisogni dei pazienti e dei caregiver.

«Ci auspichiamo che la valutazione dell’innovatività possa valorizzare sempre più la dimensione della qualità della vita dei pazienti e il punto di vista dei caregiver, non solo nel beneficio clinico generato dall’adozione del trattamento nella pratica clinica, ma anche per il beneficio psicologico e sociale che ne consegue, oltre che per l’innovazione della tecnologia farmaceutica utilizzata che incide nella definizione dei percorsi assistenziali».

Incyte è tra le prime 10 aziende in Italia per numero di nuovi studi clinici avviati sul territorio nazionale (dal Rapporto Aifa sulle Sperimentazioni cliniche).

«La parola ricerca, rapportata al settore del farmaco, ha in sé stessa l’accezione di “valore”, primo fra tutti il valore economico – sottolinea Mastandrea – Sappiamo che per ogni euro investito in ricerca clinica si genera un valore tre volte pari all’investimento per il Sistema sanitario nazionale. Ma a questo dobbiamo aggiungere altri due valori intangibili, ma fondamentali: il trasferimento delle conoscenze per la comunità scientifica e il techonology transfer, cioè l’acquisizione di tecnologie che vanno in tutto il percorso assistenziale del paziente, dalla diagnosi della patologia fino al suo trattamento. Queste conoscenze e tecnologie, una volta acquisite, diventano patrimonio della pratica clinica e concorrono a facilitare l’approccio evidence based».

«Senza poi dimenticare – conclude Mastandrea – i benefici per i pazienti di poter accedere precocemente alle terapie innovative, con conseguente miglioramento degli esiti clinici e della qualità di vita. Il tema importante è trovare un sistema pronto a recepire questo valore, riconoscerlo e valorizzarlo».

di Francesca Cerati

Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/nuovi-criteri-declinare-l-innovazione-AEHCdm1C