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Nell’era del design moderno, dove l’integrazione di diverse competenze diventa cruciale per affrontare le sfide globali, emerge una visione innovativa, come descritto nel recente libro di Don Norman, “Design for a Better World”.

Quest’opera non solo sottolinea l’importanza del design come materia problem-solving, ma pone anche l’accento su come il design possa e debba evolversi per rispondere alle complessità del nostro pianeta. Il design leader emerge quindi con un ruolo da “direttore d’orchestra”, permettendo una collaborazione armoniosa tra esperti in differenti campi.
‍Come suggerisce il titolo, molta attenzione è stata posta sulle sfide per raggiungere un futuro sostenibile e responsabile, dove il design ricopre un ruolo fondamentale nel condizionare il comportamento, anche quello green, di persone e aziende. Ho quindi voluto coinvolgere Pietro Boniciolli, esperto in scienze ambientali, attivista e presidente del WWF Trieste, per parlare di ecosostenibilità, economia circolare e di come questi argomenti vengono affrontati all’interno delle associazioni ambientaliste.

Un nuova rivoluzione industriale

Davide Severini:
Se chiedessi a cinquanta designer di darmi una definizione di economia circolare, probabilmente riceverei altrettante spiegazioni diverse. Considerando le diverse prospettive anche nel mondo dell’attivismo, qual è la tua definizione personale di economia circolare?

‍Pietro Boniciolli:
L’economia circolare non è un concetto nuovo, ma la sua ultima interpretazione, influenzata dall’aumentata attenzione verso le questioni ambientali, mi sembra la più appropriata. Io la considero come la quarta rivoluzione industriale. La prima rivoluzione fu trainata dal carbone, la seconda dal motore a scoppio e la terza dall’energia atomica. La caratteristica dell’economia fino ad oggi è stata la linearità: si estraggono materie prime, si produce un bene, lo si usa e infine lo si scarta. L’economia circolare mira a rompere questo schema, chiudere questo loop attraverso la riduzione degli scarti e del consumo di materie prime.
Questo non è solo un atto di rispetto verso l’ambiente, ma una necessità impellente. Nel dopoguerra, era facile trovare vasti giacimenti in aree desolate come la penisola arabica o il Caucaso. Oggi, con una popolazione che supera gli otto miliardi, le risorse si stanno esaurendo e non possiamo più produrre come in passato. Pertanto, e ci tengo a sottolinearlo, adottare nuovi principi per la gestione delle materie prime e dell’energia è una necessità economica e “pratica”, non solo una questione ambientale.
Il diagramma a farfalla della Ellen MacArthur Foundation, una delle associazioni più autorevoli nel campo dell’economia circolare

L’ecodesign per pianificare il futuro

Davide Severini:
Hai toccato un punto fondamentale, le materie prime. Un design circolare dovrebbe includere la scelta consapevole dei materiali fin dall’inizio, ancor prima della produzione. Tuttavia, viviamo in un’epoca caratterizzata da prodotti che diventano presto obsoleti, come i cellulari progettati per essere scartati dopo pochi anni. Esistono delle best practice per iniziare a seguire dei comportamenti più virtuosi?

Pietro Boniciolli:
L’attenzione nell’economia circolare è spesso focalizzata solo sull’evitare i rifiuti. A mio avviso, l’aspetto fondamentale è l’ecodesign, un campo in rapida espansione. Per esempio, dentro la mia Università, quella di Bolzano, il corso di ecodesign è tra i più popolari e registra un numero crescente di iscrizioni. Sta attirando l’interesse di molte aziende di rilievo. Una pioniera in questo settore è Patagonia, che si occupa di abbigliamento. L’industria della moda è particolarmente problematica a causa dell’enorme quantità di rifiuti prodotti. Annualmente, vengono generate circa 15 miliardi di tonnellate di rifiuti tessili, l’equivalente di 4500 Torri Eiffel. Al termine del ciclo di vita di un capo di abbigliamento, l’ideale sarebbe riutilizzarlo o trasformarlo.
Tuttavia, questo processo è molto complesso e costoso, specialmente quando i tessuti sono composti da una miscela di materiali, come il 70% cotone, 20% poliestere e 10% altri materiali. Separare questi componenti è una sfida enorme.

Davide Severini:
Quindi una best practice, intanto, è di utilizzare un solo materiale.

Pietro Boniciolli:
Esattamente, ma Patagonia non solo si concentra solo su questo aspetto, ma cerca anche di prolungare la durata di vita dei propri prodotti.Secondo te qual è la prima cosa che si rompe in un vestito? Sembrerà sciocco, ma è la zip. La riparazione di una zip non è semplice come una cucitura e spesso i consumatori sono indotti a comprare un nuovo capo invece di riparare il vecchio. Patagonia ha limitato l’uso delle zip e incoraggia i clienti a restituire gli articoli danneggiati per le riparazioni, favorendo il riutilizzo. Passando ad un altro settore, Ikea è un altro esempio positivo.
Nell’industria del mobile, l’uso di materie prime come legno, ferro e acciaio è significativo. Ikea seleziona materiali che possono essere riconvertiti. Questo approccio include anche un modello di affitto per i mobili: invece di comprarli, li affitti per il periodo di utilizzo.
Al termine, o quando si rompono, o quando ne acquisti di nuovi, li restituisci.
Ikea poi smonta questi prodotti per riutilizzarne i materiali, riducendoli allo stato originale per la produzione di nuovi articoli.

Davide Severini:
La selezione dei materiali viene fatta anche tenendo a mente le fasi successive del ciclo di vita del prodotto. Si tratta di un processo intenzionale e ben ponderato.

Pietro Boniciolli:
Esattamente! Nel contesto dell’ecodesign, la pianificazione per il futuro è cruciale. Prendiamo, ad esempio, le batterie, che sono essenziali, soprattutto ora con l’ascesa delle automobili elettriche. Se una batteria ha una breve durata, non può essere efficacemente riutilizzata. Le principali miniere di litio si trovano in Cina e Africa, che non sono due posti in cui i diritti umani sono all’ordine del giorno. La sua estrazione porta a molte morti ogni anno e sta diventando sempre più costoso comprarlo da questi paesi.

Davide Severini:
Questo porta anche a una questione di responsabilità sociale, c’è anche il peso morale di non gravare su determinate comunità o individui.

‍Pietro Boniciolli:
Per questo è importante seguire gli sviluppi tecnologici, nella speranza di trovare materiali alternativi che consentano il riutilizzo delle batterie in modo più sostenibile ed etico. Il riciclo non è più una soluzione?

Davide Severini:
Se il recupero dei materiali è così fondamentale, come mai, per anni, le associazioni ambientaliste hanno puntato sul riciclo come cavallo di battaglia piuttosto che sul riutilizzo? Noi possiamo riciclare solo un numero limitato di volte, invece, se ben progettato, un prodotto può essere riutilizzato molto più a lungo.

Pietro Boniciolli:
Il riciclo è più semplice da comprendere e comunicare. Mostrare nelle campagne pubblicitarie famiglie felici che riciclano e bottiglie che vengono trasformate in nuovi oggetti ha un forte impatto visivo ed emotivo.
Però è vero, ritengo che il recupero sia più importante del riciclo. Ad esempio, un elettrodomestico può essere restituito al produttore per essere riparato o trasformato in qualcosa di nuovo, specialmente se la tecnologia è progredita.
Le associazioni ambientaliste si sono concentrate sul riciclo perché è un concetto immediato e facilmente comunicabile. Per la divulgazione scientifica, è molto più semplice spiegare come una bottiglia di plastica possa essere trasformata in un’altra bottiglia, piuttosto che delinearne il processo di ecodesign. È una questione di semplicità e immediatezza nella comunicazione.
In ogni caso rimangono entrambi elementi cardine verso un futuro migliore, nonostante le difficoltà di trasmissione del messaggio.

‍Secondo te, in Italia, come siamo messi in termini di riciclo e riuso in Europa?

Siamo primi per riciclo, primi per riuso, esempi virtuosi meglio di Norvegia e Svezia, ma siamo anche primi per produzione di rifiuti, c’è una sorta di bilanciamento. Produciamo quantità immense di abbigliamento, mobili, elettrodomestici, anche se siamo molto capaci a riutilizzarli e riciclarli.

I nuovi obiettivi dell’attivismo

Davide Severini:
Legandomi al discorso delle associazioni ambientaliste, avete la responsabilità di comunicare un problema che è comunitario. Penso che ogni associazione abbia il suo modo e le proprie politiche da portare avanti.
Non ritieni, però, che la narrazione sia sempre stata “negativa”, concentrata sui disastri ambientali e sulla fine del mondo?

Pietro Boniciolli:
Una nuova campagna del WWF ha come titolo “Estinguerci: lo stiamo facendo bene”.‍

Davide Severini:
Non credi che manchi una narrazione positiva, che punti a premiare le aziende che scelgono la strada dell’innovazione e l’adozione di pratiche sostenibili? Perché c’è una narrazione rivolta a punire (giustamente) chi inquina e non a sostenere chi applica bene i principi di economia circolare ed integra l’ecodesign nei propri processi?

Pietro Boniciolli:
C’è sicuramente una tendenza a concentrarsi più sul negativo che sul positivo. Questo può essere attribuito in parte alla cultura comunicativa in Italia, dove le notizie positive spesso passano in secondo piano.
Ci rendiamo conto, anche tramite i dati sui social, che quando mostriamo i successi e le iniziative positive, queste non sembrano avere lo stesso impatto emotivo o l’attenzione che ricevono le notizie negative.
Il trigger negativo sembra avere un maggiore richiamo. Dipende molto dalle percezioni delle persone: quando qualcosa va male il primo pensiero è rivolto al “cattivo governo” e ciò che poteva essere fatto meglio. Di fronte ad una notizia positiva, invece, sembra tutto sia scontato e dovuto.

Davide Severini:
Io auspico ad una comunicazione incentrata sulla richiesta di agevolazioni fiscali verso le aziende virtuose. Pensi che non sarebbe efficace?

Pietro Boniciolli:
L’adozione dell’economia circolare presenta due ostacoli significativi. Il primo è l’investimento iniziale richiesto per passare da un modello economico lineare a uno circolare.
Questo passaggio richiede un investimento sostanziale di tempo e risorse.
È necessario avere una struttura adeguata e formare adeguatamente i dipendenti sulle nuove pratiche, oltre a promuovere una durata più lunga degli apparecchi e delle attrezzature.
Il secondo, come hai sottolineato, è l’assenza di incentivi.
Al momento, non ci sono vantaggi tangibili, come riduzioni fiscali, per le aziende che producono meno rifiuti o implementano l’economia circolare. Questo crea una disparità: le aziende che hanno adottato queste pratiche anni fa non ricevono niente indietro. Quindi, per quale motivo dovrebbero comportarsi in maniera differente rispetto al 99% delle altre aziende?

Davide Severini:
Per rispondere al problema dell’investimento iniziale, una soluzione potrebbe essere un design ben pensato. La sua funzione principale è proprio quella del risparmio, economico e di energie. Se i prodotti ed i processi interni sono progettati in modo efficiente fin dall’inizio, si potrebbero risparmiare risorse e costi nella produzione e nel riutilizzo.

Pietro Boniciolli:
Come ho menzionato in precedenza, l’ecodesign è fondamentale. Non possiamo parlare di riciclo o riuso efficaci senza un buon ecodesign. Se un prodotto, come una maglietta, è progettato male, anche il tentativo di riutilizzarlo comporta costi aggiuntivi. I divulgatori dovrebbero premere molto di più, non tanto sul concetto di riutilizzo e riuso, quanto sul risparmio che ti può portare una buona progettazione e produzione dei prodotti. Anche se inizialmente potrebbe comportare un costo leggermente più elevato, a lungo termine, questo investimento consente di evitare la necessità di acquistare lo stesso prodotto più volte.
Vale per le aziende quanto per i consumatori, facendo loro comprendere che un investimento iniziale maggiore può tradursi in un risparmio sostanziale nel lungo periodo.

Il dialogo con la politica

Davide Severini:
In conclusione, se avessi l’occasione di dialogare con un capo di stato o un rappresentante politico, l’ultimo attore che manca nella nostra discussione, quali sarebbero i tuoi consigli?

Pietro Boniciolli:
Ascoltare attivamente la comunità scientifica. Attualmente gli esperti sono consultati solo in caso di disastri, non vengono coinvolti costantemente, soprattutto in periodi di calma, quando si tratta di prendere decisioni preventive e strategiche, oltre che avere la possibilità di investire.
Sarebbe fondamentale istituire o utilizzare in modo più efficace un comitato scientifico, come il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), per avere aggiornamenti regolari e consigli su cosa sta accadendo in Italia dal punto di vista ambientale. Un altro punto critico che andrei a sottolineare è il superamento della polarizzazione politica riguardo alle questioni ambientali.
Il cambiamento climatico e il riscaldamento globale non sono questioni di destra o di sinistra, ma riguardano l’intera umanità.
I picchi di temperature estreme degli ultimi anni non sono problemi isolati di singoli leader o partiti, ma richiedono soluzioni trovate in collaborazione con tutte le parti in causa.

di Davide Severini  .    e Pietro Boniccioli