Categorie: Editorial
Tipo di Contenuto:
Tempo di lettura: 4 minuti

La crescente diffusione della materia ESG,  acronimo delle tre parole Environment – Social – Governance che sintetizzano gli ambiti su cui si deve concentrare la filosofia della “Sostenibilità”, suggerisce di spendere qualche riga sul tema della “materialità”, parola di per sé non nuova in ambito aziendalistico, che oggi costituisce l’architrave di ogni analisi di reporting non finanziario.

Interessa qui aiutare a comprendere il tema quelle imprese (tendenzialmente medio piccole) che debbono far entrare la sostenibilità a pieno titolo nei propri assetti organizzativi, pur non essendo oggi destinatarie di obbligazioni specifiche sul reporting non finanziario e pertanto potenzialmente portate a escludere la sostenibilità dai propri immediati obiettivi.

Poiché i concetti  sottostanti la sostenibilità sono nella loro generalità oggi già ampiamente diffusi e dibattuti, cercare di “materializzare la materialità” può aiutare a superare istintive difficoltà di partenza.

La parola “materialità” non è concettualmente nuova sia nel reporting finanziario sia nel reporting non finanziario – essa è sinonimo di “significatività”, termine che per esempio è ben in uso nel mondo della revisione legale al fine di identificare gli elementi, appunto più significativi di altri, su cui basare piano e attività di revisione.

In ambito ESG, quindi, la materialità è la qualità di un argomento aziendale su cui il management ritiene di doversi esprimere con la propria rendicontazione  – una volta scelto, su tale argomento si svolgerà una “analisi di materialità”.

Appare quindi subito importante il fatto che la scelta degli argomenti aziendali ritenuti “materiali” sia condotta con estrema attenzione. In ambito PMI la attuale inesistenza di obblighi di reporting non finanziario non deve condurre alla facile conclusione che si possa evitare di scegliere gli argomenti su cui eseguire l’analisi di materialità, essendo invece già ora il momento di iniziare a fare intelligente autodiagnosi con cura e attenzione. 

Un recente utile contributo sulla materialità e sulla analisi di materialità è stato elaborato e pubblicato dalla Fondazione OIBR con il Quaderno n. 8 dedicato a “Linee guida applicative per l’implementazione del principio di materialità”.

Questo contributo editoriale è uscito in parallelo ai primi principi di rendicontazione non finanziaria elaborati da EFRAG (su incarico della Commissione Europea) per dare sostanza alla nuova direttiva CSRD che aggiorna ed allarga la platea delle imprese soggette alla rendicontazione non finanziaria integrata nel bilancio di esercizio.

EFRAG propone l’approccio della “doppia materialità” intesa come “materialità di impatto” cioè effetti di sostenibilità che il business dell’impresa genera al di fuori del proprio perimetro e “materialità finanziaria” cioè effetti di sostenibilità che si traducono in maggiori o minori flussi di cassa e quindi sul valore dell’impresa.

Per aiutare la formazione di un processo di analisi della materialità è utile riportare lo schema esposto nel Quaderno n. 8 di OIBR e brevemente commentarlo in ottica PMI. La sequenza di azioni si basa su:

– Impostare una struttura e dei processi di governance adeguati 

– Definire un universo di questioni potenzialmente materiali

– Raccogliere elementi probativi della rilevanza delle questioni materiali

– Interagire con gli stakeholder

– Agire sui risultati dell’analisi di materialità

– Monitorare lo sviluppo dinamico della materialità

Ciascuna di queste fasi ha le sue peculiarità e difficoltà. Va peraltro osservato che una volta che il processo sia completato la prima volta, l’impresa avrà acquisito una significativa capacità di comprensione ed azione per il futuro.

Occorre quindi che la prima volta non venga sprecata.

I problemi per le PMI sorgono generalmente dal fatto che la loro piccola struttura è già di per sé poco  flessibile per aggiungere temi di governance e assetti organizzativi a più ampio spettro. In compenso all’interno di un gruppo più ristretto di persone la formazione di base sulla sostenibilità può essere più facilmente impostata con corsi e consulenti esterni.

Occorre quindi partire proprio dal primo punto della scaletta proposta nel quaderno OIBR e nominare un responsabile o un gruppo di responsabili di sostenibilità che coinvolgano ordinatamente l’intera azienda nell’intero processo. Va infatti ricordato che la scelta degli argomenti su cui eseguire l’analisi di materialità altro non è che una analisi di rischi e opportunità sul modello di business aziendale. Richiamo il concetto di “autodiagnosi” per segnalare che guardare dentro la propria impresa non è poi così difficile – certamente occorre farlo in maniera strutturata, ma non si tratta di “inventare” qualcosa. 

Il processo di autodiagnosi consente poi anche di impostare il dialogo con l’esterno ( i cosiddetti stakeholders) per trarre conferme o nuove informazioni utili. 

Una volta individuati gli argomenti di sostenibilità (avvalendosi anche della amplissima letteratura disponibile) occorre per ciascuno raccogliere gli elementi probativi della loro materialità. Si tratta, in estrema sintesi, di studiare i singoli aspetti sotto profili quali-quantitativi avvalendosi di “metriche” sia proprie dell’azienda (perché note nel processo produttivo) sia esterne (studi e ricerche – raccomandazioni – legislazione specifica), nonché del risultato dell’approccio con gli stakeholders.  

La rilevanza di materialità dei singoli aspetti definiti materiali si svolgerà secondo obiettivi di risultato resi obbligatori da norme e regolamenti ovvero anche da scelte aziendali specifiche in relazione alla probabilità che l’accadimento da misurare sia probabile e sia portatore di impatti seri. In tale ottica gli obiettivi ambientali sono probabilmente più facili da misurare perché le relative metriche sono stabilite a livello internazionale. La misurazione degli obiettivi materiali in punto Sociale e Governance è diretta correlazione con il modello di business e dalla strategia aziendale e le loro metriche saranno confrontate con esperienze esterne e benchmark di mercato.

Mi pare quindi pacifico che il processo di autodiagnosi è assai rilevante perché l’analisi rischi e opportunità è “entity specific”. L’interesse dell’impresa a comportarsi in maniera sostenibile per tutta la durata del business fin dalla sua impostazione strategica è il motore giusto dell’approccio alla sostenibilità perché crea quel virtuosismo necessario a non agire ad impulso o a posteriori quanto a organizzare la sostenibilità come fattore costante di business in modo da controllare gli effetti degli impatti di materialità e a identificare costantemente ogni nuovo argomento su cui agire tempestivamente.

Il reporting non finanziario conseguente alla analisi di materialità servirà all’impresa per comunicare i propri obiettivi di sostenibilità. Le PMI che adotteranno in fretta un simile approccio, pur non obbligate, potranno meglio confrontarsi con il sistema finanziario e con la propria catena di business. Se infatti non è ancora in vista la obbligatorietà del reporting integrato per le PMI (di cui peraltro è raccomandato l’utilizzo), sia i finanziatori (banche) sia i clienti di maggiori dimensioni ed in particolare tutti coloro che invece sono già obbligati al reporting integrato porranno (in sede contrattuale per esempio) alle PMI domande in materia ESG per soddisfare: le banche, l’obbligo di rendicontazione agli Istituti di Vigilanza sulla concessione di credito “sostenibile” e le imprese capofila, l’obbligo di riferire sulla sostenibilità della “value chain”.

Le PMI possono e debbono, dunque, prepararsi per tempo, investendo in formazione di personale apicale dedicato e avvalendosi di consulenza specialistica. Gli strumenti ci sono.

 

di Federico Diomeda
Dottore Commercialista in Genova
Membro del Consiglio Direttivo di IASE Italy