Spiazzante. O forse troppo genio per uomini comuni. Federico Faggin è così. Fisico, inventore, imprenditore, vicentino di nascita, naturalizzato americano, ha creato il primo microprocessore al mondo negli anni ‘70 e una ventina di anni dopo il touchpad e il touchscreen. E’ staro insignito della Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione dal presidente Obama e del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Nel 2011 ha fondato la Federico and Elvia Faggin Foundation, un’organizzazione no profit dedicata allo studio scientifico della coscienza, con cui sponsorizza programmi di ricerca teorica e sperimentale presso università e istituti di ricerca statunitensi e italiani. L’abbiamo incontrato a margine della presentazione del suo ultimo libro, Oltre l’invisibile.

Premesso che chi scrive ha vaghi ricordi di fisica a livello liceale, seguire Faggin nei suoi ragionamenti alle volte è quasi un azzardo. Appunto, ti spiazza. “L’avvento dell’intelligenza artificiale”, inizia con la più grande naturalezza del mondo, “combinato con i principi materialisti e riduzionisti che considerano l’uomo una macchina classica, favorisce una forma di scientismo che sta portando la società umana su una china pericolosa. Se ci consideriamo macchine, saremo prima o poi superati dalle macchine costruite da chi potrebbe controllarci. Per questo è necessaria una nuova scienza che includa la spiritualità e una nuova spiritualità che includa la scienza. Ho chiamato Nousym la loro unione”. Fin qui nulla da eccepire. Praticamente l’AI, e questa è la buona notizia, non riuscirà mai a rimpiazzare l’uomo. Ma cosa distingue quest’ultimo dalla macchina? “La coscienza e il libero arbitrio”, continua Faggin con una tranquillità disarmante. “Pensiamo che la realtà sia assurda, invece siamo noi che siamo assurdi quando vogliamo forzarla dentro le nostre idee preconcette. Bisogna liberarci dai presupposti errati del pensiero materialista e partire da altre ipotesi, che si concilino con le proprietà strabilianti della fisica quantistica. Occorre una nuova scienza che, anziché ignorare ciò che contraddice il materialismo e le domande a cui finora non siamo stati in grado di rispondere, parta invece da quelle. Perché è proprio indagando “l’assurdita’” dell’entaglement quantistico, del libero arbitrio e della coscienza, fenomeni che la fisica non riesce a spiegare, che si potrà trovare una risposta”. Qua ci siamo già persi. “Mi rendo conto”, continua Faggin, “che, data la complessità dei concetti discussi, non sempre sia facile seguire la mia esposizione. Per questo devo un enorme grazie a mia moglie, che da sempre mi critica aiutandomi a migliorare e a rendere più chiare e fruibili le mie idee”. Considerato che dovremmo fare i conti con la fisica quantistica e con dimensioni del reale che ancora non conosciamo, cosa pensa della morte Federico Faggin? “Le varie esperienze straordinarie di coscienza mi hanno fatto sparire la paura della morte. Così adesso penso che, quando succederà, perderò completamente il senso d’identità con il corpo e mi aprirò a sperimentare una realtà più vasta, che mi è già in piccola parte familiare. Ho molta curiosità, anche se in me c’è ancora un residuo di apprensione per il dolore fisico che potrebbe accompagnarla. Potrebbe anche verificarsi che chi non teme la morte possa avere un trapasso più consapevole e meno doloroso. Si vedrà. La morte riguarda soltanto il corpo fisico, non la coscienza che esiste in una realtà più vasta dello spazio-tempo fisico. Ossia, morire non è altro che risvegliarsi a un’altra coscienza più vasta. Infatti, come sostiene Ovidio ne Le metamorfosi, “nulla perisce nell’immenso universo, ma ogni cosa cambia e assume un aspetto nuovo.” Un’altra buona notizia. ”Ma anche il fatto di considerare l’uomo inferiore alle macchine che lui stesso ha creato e’ una vera assurdità”, conclude Faggin, “perché l’uomo ha una dignità che nulla ha a che fare con la capacità di calcolo e che nessuna macchina potrà mai avere. Quindi non dobbiamo aver paura dell’AI, ma soltanto imparare ad usarla bene”. E se lo dice lui c’è da credergli.

 

di Isabella Zotti Minici