Un nuovo studio [1] pubblicato sulla rivista Nature Climate Change lancia un messaggio chiaro (e allarmante): se la temperatura media globale supererà anche solo temporaneamente il limite di 1,5 °C rispetto all’era preindustriale, i danni ai ghiacciai del mondo saranno in gran parte irreversibili. Anche se in futuro riuscissimo quindi a contenere o ridurre il riscaldamento, molte delle perdite subite non potrebbero più essere recuperate.

Il gruppo internazionale di ricercatori, provenienti dall’Università di Bristol e Innsbruck, che ha condotto lo studio ha analizzato cosa accadrebbe in due scenari: uno in cui la temperatura resta stabilmente sotto la soglia critica dei 1,5 °C, e uno in cui si supera temporaneamente (fino a +3 °C), per poi scendere di nuovo. I risultati purtroppo non lasciano spazio all’ottimismo: nello scenario con “overshoot”, cioè con superamento temporaneo, i ghiacciai perderebbero fino all’11% di massa in più entro il 2500 rispetto a uno scenario senza superamento, e si tratta di una perdita che non verrebbe più recuperata.

Negli ultimi anni si è molto discusso sulla possibilità di superare temporaneamente il limite dei +1,5 °C, con l’idea che si possa poi “raffreddare” il clima grazie a nuove tecnologie, energia pulita e strumenti di cattura della CO₂. Questo studio mette in dubbio quella visione ottimistica, l’effetto del surriscaldamento momentaneo resterebbe infatti impresso nei ghiacciai per secoli.

I ghiacciai reagiscono notoriamente con estrema lentezza ai cambiamenti climatici; quindi, una volta iniziato il processo di scioglimento, anche se le temperature dovessero scendere di nuovo, il danno sarebbe ormai fatto. Il ghiaccio impiegherebbe poi secoli, se non millenni, per riformarsi.

Lo studio [1] ha analizzato 144 regioni glaciali in tutto il mondo e i ghiacciai più colpiti da questo meccanismo irreversibile sono quelli di grandi dimensioni e situati alle alte latitudini, come quelli in Alaska, Canada, Islanda e Patagonia. Per questi, anche un ritorno sotto i +1,5 °C non basterebbe a fermare il declino. Invece, gli ammassi glaciali delle zone montuose a latitudini più basse, come nelle Alpi, sull’Himalaya o in Nuova Zelanda, hanno una reazione più rapida. In alcuni casi mostrano una lieve capacità di riprendersi nel lungo periodo, ma comunque mai tornando ai livelli pre-overshoot.

Una delle scoperte più interessanti, ma anche preoccupanti, riguarda il cosiddetto “trough water”, cioè una diminuzione del deflusso d’acqua dai ghiacciai dopo il superamento della soglia climatica. È l’effetto opposto del noto “peak water”, in cui lo scioglimento dei ghiacci porta a un aumento temporaneo dell’acqua disponibile.

Con l’overshoot, il cambiamento si inverte: i ghiacciai iniziano a fornire meno acqua rispetto allo scenario senza sforamento, e lo fanno per decenni, se non secoli. Questo significa che in molte regioni del mondo, specie in quelle che dipendono fortemente dall’acqua dei ghiacciai per irrigazione, energia o consumo umano, si rischia una crisi idrica latente, nonostante il ritorno a condizioni climatiche più stabili. Questo calo del deflusso toccherà circa la metà dei bacini fluviali glaciali entro il 2100, e, ancora una volta, sarà un cambiamento difficile da invertire.

Con la scomparsa progressiva dei ghiacciai, il primo effetto visibile sarà l’innalzamento del livello del mare, ma il problema più urgente, specie per le popolazioni di montagna o per intere regioni dipendenti dall’acqua glaciale, sarà la perdita di una risorsa essenziale.

Pensiamo all’Asia centrale, al bacino del Gange, alle Ande o alle Alpi. In tutte queste aree, milioni di persone usano l’acqua dei ghiacciai per irrigare i campi, produrre energia idroelettrica e dissetarsi. Una riduzione del flusso significa più siccità, meno energia, più competizione per le risorse.

In breve: anche se vincessimo la battaglia climatica a lungo termine, rischiamo nel frattempo di perdere risorse vitali.

Il messaggio che arriva da questo studio è inequivocabile: non possiamo permetterci neppure un superamento temporaneo della soglia di 1,5 °C, che in molte parti del mondo è però già una realtà. I costi, in termini ambientali e economici, sarebbero troppo alti. I ghiacciai, in qualità di sentinelle del clima, ci stanno lanciando un allarme silenzioso e, per una volta, non possiamo dire di non essere stati avvisati. In questo caso non esistono “riparazioni” per alcune ferite del clima. 

Lo studio aggiunge una prospettiva innovativa ai rischi associati al superamento della soglia del riscaldamento globale. Molte valutazioni “classiche” si concentrano su ecosistemi, atmosfera, permafrost, ma questa ricerca mette al centro i ghiacciai come indicatori e vittime irreversibili dell’overshoot. In particolare, l’effetto “trough water” evidenzia come, anche se si riesce a riportare le temperature sotto la soglia pattuita, gli impatti sul ciclo idrologico possano persistere, con conseguenze reali e misurabili su scala locale.

Il tempo per agire è adesso, non tra 30 o 50 anni.

 

di Pietro Boniciolli

 

 

 

 

Bibliografia

[1] Schuster, L., Maussion, F., Rounce, D.R. et al. Irreversible glacier change and trough water for centuries after overshooting 1.5 °C. Nat. Clim. Chang. 15, 634–641 (2025). https://doi.org/10.1038/s41558-025-02318-w