Chi è stato il primo licenziato dall’intelligenza artificiale generativa e di ChatGPT?
La risposta è curiosamente facile: uno dei suoi padri, Sam Altman.
La cacciata era avvenuta già nel corso del 2023. In particolare nel novembre di due anni fa quando Altman era stato defenestrato dal suo stesso consiglio di amministrazione di allora, in una replica, anche se temporanea, di quanto era accaduto con la cacciata di Steve Jobs dalla sua Apple molti decenni prima (ne avevo scritto qui: La vera storia del licenziamento e della riassunzione di Altman – «Conte di Montecristo» da OpenAI).
Ancora più curiosamente sempre Sam Altman è stato anche il primo assunto nuovamente dall’intelligenza artificiale dato che pochi giorni dopo era stato riassorbito da OpenAi dopo le pressioni dell’azionista Microsoft. Qualche giorno fa Altman ha detto al Financial Times:”Faccio il lavoro più importante della storia”.
Ma qual è questo lavoro? Contribuire ad assumere o licenziare le persone?
Non è così facile rispondere. Anche perché il dilemma se lo era già posto uno dei maggiori economisti della storia: John Maynard Keynes.
Un secolo fa.
In una famosa lezione tenuta di fronte agli studenti di Madrid Keynes anticipò il concetto di “disoccupazione tecnologica” e anche, allo stesso tempo, di occupazione tecnologica. Le nuove tecnologie, scriveva Keynes, distruggono vecchi posti di lavoro che piano piano diventano obsoleti ma creano insieme le condizioni per nuova occupazione. La considerazione è di capitale importanza perché, concludeva l’economista di Cambridge che contribuì a risolvere la Grande crisi del 1929, i policy maker hanno così tutti gli ingredienti per le proprie politiche: occuparsi di creare le condizioni per avere un saldo occupazionale positivo, invece di tentare di difendere i vecchi posti di lavoro destinati a diventare obsoleti.
Di fatto è un difetto che la politica economica in Italia ha spesso avuto: scarse politiche per le start up e le nuove tecnologie e miliardi spesi per tentare di salvare le vecchie industrie, come l’Alitalia.
Lo scritto di Keynes è interessante anche per le “cantonate” filosofiche: secondo l’economista difatti le tecnologie ci avrebbero anche affrancato sempre di più dal lavoro e un secolo dopo (cioè oggi) avremmo dovuto lavorare 15 ore a settimana, 3 ore al giorno. Il dilemma dell’uomo moderno doveva essere come occupare il tempo libero, tornando agli esercizi dell’Agorà dell’antica Grecia.
Dunque per certi versi il lavoro di Altman è quello che gli aveva indicato Keynes. Come sta andando?
La parabola che si era manifestata nel caso di Altman stesso sta prendendo forma nel mercato del lavoro. Per adesso abbiamo solo indizi. Piccoli frammenti. Ma per certi versi l’uomo commette sempre gli stessi errori quando si confronta con la tecnologia e dunque anche questi pochi spunti possono permetterci di fare delle considerazioni.
Anche qui per comprenderle dobbiamo risalire al 2024. Un anno fa esatto.
La potremmo chiamare anatomia di una trappola di intelligenza artificiale (ma con una complicità umana): il 14 maggio 2024 la società svedese Klarna che sviluppa soluzioni di tecnologia per la finanza, le cosiddette Fintech, e che di certo non sta passando uno dei suoi momenti migliori, lanciava un comunicato non privo di entusiasmo sul proprio sito: «Il 90 per cento del nostro team usa l’intelligenza artificiale». «Spingiamo tutti i dipendenti a provare, provare, provare ed esplorare» aveva gridato Sebastian Siemiatkowski, Ceo e cofondatore di Klarna, con il tipico tono da pioniere della tribù che vede nella Silicon Valley la terra promessa. L’operazione durata circa un anno aveva permesso di ottenere risultati diffusi grazie a un software interno chiamato Kiki, sviluppato da OpenAi proprio per i dipendenti di Klarna. «Dal lancio nel giugno del 2023 Kiki ha risposto a 250 mila interrogazioni interne, più di 2.000 al giorno».
Nel comunicato si specificava (indizio fondamentale per processare anche il complice) che l’adozione più alta, anche al 93%, dunque più di 9 dipendenti su 10, arrivava dai comparti “meno tecnologici”, come il marketing e la comunicazione. Era stato anche creato un neologismo: i klarnauts, cioè gli klarnauti, per indicare i dipendenti di Klarna che si stavano integrando con Kiki. Ingenui, sarebbe stato più corretto. Il 28 maggio, pochi giorni dopo il primo comunicato ne usciva uno più finanziario: grazie all’AI Klarna affermava di stare risparmiando 10 milioni all’anno in marketing e vendite. «Il nostro assistente Ai» aveva dichiarato il ceo Siemiatkowski «svolge il lavoro di 700 dipendenti riducendo il tempo medio di risoluzione dei problemi da 11 a 2 minuti e mantenendo gli stessi standard di soddisfazione dei clienti». I conti sono facili: 700 esseri umani licenziati con una videocall registrata, sempre a maggio. E non finisce qui. Klarna aveva fatto sapere di voler dimezzare i propri dipendenti già scesi dai 5.441 iniziali ai 3.800 attuali. Quali sono stati i settori falcidiati? Marketing e vendite. Guarda caso. Quelli che erano stati usati per un anno per addestrare Kiki a fare il loro lavoro, dopo aver imparato dalle loro interazioni anche i trucchetti del mestiere.
Per i dipendenti di Klarna, che in passato è stata la società fintech europea più valutata in prospettiva, è d’obbligo però qualche ragionevole sospetto che potesse trattarsi di una intelligente e orchestrata campagna di marketing per tranquillizzare i mercati. La società svedese offre strumenti di pagamento per lo shopping online. Durante la pandemia da Covid19, nel 2020, era esplosa anche grazie alla formula buy now, pay later , prendi adesso e paghi dopo. Cosa si poteva sperare di più chiusi in casa tutto il giorno davanti a un laptop o allo schermo di uno smartphone? La valutazione della società che vorrebbe anche quotarsi in Borsa era esplosa come era capitato per tutta la cosiddetta Zoom-economy.
Ma per Klarma, a parte lo sgonfiamento della febbre da ecommerce, era intervenuto un altro fattore. Si chiamava esplosione dei tassi di interesse. Con il costo del denaro a zero è facile finanziare un modello di business pay later. Con tassi arrivati anche al 5% le cose cambiano di molto. Con l’inflazione il problema è al quadrato. Lo si è visto sempre il 30 maggio del 2024 quando (sarà un caso, due giorni dopo l’entusiasmo da Ai) si è scoperto che le perdite sui crediti dei clienti della società erano salite del 59% a 110 milioni di dollari. Le persone comprano, ma poi come accade con i mutui scoprono di non poter pagare. La questione è scivolosa. «È l’economia, stupido», come diceva il famoso slogan usato da Bill Clinton nel 1992 per battere George H. W. Bush.
Insomma, più che un licenziamento da Ai quello di Klarna sembra una normale ristrutturazione che però ha permesso al suo ceo di prendere il palco e le scene della finanza come pioniere dell’uso di OpenAi invece che di salire sullo stesso palco, cospargersi la testa di cenere, e dire: scusate, stiamo perdendo soldi, dobbiamo anche mandare via le persone. Qui l’Ai sembra più il complice che il mandante.
Proprio in queste ore poi lo stesso ceo della società ha comunicato di essere in procinto di riassumere delle persone dopo la sperimentazione durata un anno con l’intelligenza artificiale, rea di non funzionare come promesso.
Siamo come detto agli inizi ma c’è un precedente abbastanza significativo.
E riguarda i robot e Elon Musk.
Il caso viene raccontato con molti particolari nella biografia ufficiale di Musk scritta da Walter Isaacson, lo stesso che aveva firmato la ben più interessante biografia di Steve Jobs.
Il libro di Isaacson, molto corposo, in realtà è deludente. Offre pochi spunti sull’uomo più ricco del mondo. Ma nella parte migliore del racconto ricorda come Musk si sia trovato a un passo dal fallimento di Tesla con il lancio della Model 3 che per funzionare doveva essere prodotta in almeno 5.000 esemplari a settimana.
Siamo nella primavera del 2018. Le fabbriche sono quelle di Fremont e del Nevada. Musk si trasferisce a vivere letteralmente nella fabbrica, giorno e notte. E giorno e notte osserva e cerca di capire perché non è possibile produrre 5.000 Model 3 a settimana. Nel frattempo, come scritto nel libro, Musk ha utilizzato gli anticipati versati dagli acquirenti per coprire i costi della fabbrica e non per la produzione. Una mossa al limite della distrazione di fondi per una società quotata.
Si aggiunga che i droni mandati dagli shortisti (coloro che scommettono contro un’azione) sorvolano le fabbriche per capire come stia andando. E sta andando male.
La situazione è drammatica.
Cosa scopre Musk vivendo nella fabbrica?
Facile: che i robot (nella catena ce n’erano più di 1.200) sbagliavano, erano lenti e anzi spesso bloccavano il funzionamento della linea di montaggio.
Musk è stato a lungo un esegeta dell’automatizzazione spinta delle fabbriche. Di fatto l’inventore del robotismo dopo il toyotismo.
Sembrava l’uovo di Colombo: niente sindacati, niente proteste, niente turni. Cosa potrà mai andare male con i robot?
Che per molti task sono ancora peggiori e meno affidabili degli operai. E quando si bloccano bisogna mandare qualcuno a riavviare tutto. E perché si bloccano? Perché hanno bisogno di mille sensori e anche un piccolo disallineamento manda tutto in tilt. Senza contare che ancora per lavori apparentemente semplici diventano l’Usac, l’ufficio complicazioni affari semplici. Lo stesso Musk scoprì come fosse difficile per un robot con delle ventose prendere un semplice pannello di isolamento e metterlo sopra il pianale della batteria della Model 3. Spesso le ventose non prendono bene. Il rivestimento cade. E si blocca tutto.
Musk fece buttare un gran quantitativo di robot industriali nel parcheggio di fronte alla fabbrica. E richiamò le persone ottenendo il risultato sperato: 5.000 automobili a settimana.
Non esagerare con l’automazione dei processi è diventata una delle regole d’oro di Musk.
Insomma, anche i robot, prima dell’AI, hanno prima fatto licenziare delle persone per poi farle riassumere.
Ps. Curiosità del libro di Isaacson.
1) A un certo punto Musk usava come password IloveNasa… che pensare?
2) Lo sapete quale fu la prima idea che portò a Space X? Mandare dei topini su Marte con una telecamera collegata alla rete per permettere alle persone sulla Terra di seguire la saga. Gli fecero notare che non sarebbe stata una buona pubblicità far seguire in diretta mondiale la morte di alcuni topini sulla superficie marziana. Allora optò per salvare l’umanità facendola diventare una specie intergalattica.
Curioso come nella Silicon Valley si riescano a fare grandi cose partendo da sogni così infantili e ingenui.
di Massimo Sideri