Il fast fashion è un trend che ha origine principalmente in Europa e negli Stati Uniti, per diffondersi a livello mondiale. Ha creato gravi effetti in termini ambientali e sociali, con capi di abbigliamento realizzati in situazioni degradanti e ad alto tasso di inquinamento.
Questa “moda veloce” comporta la capacità di alcune imprese di introdurre sul mercato un articolo in tempi ristretti. Solitamente, dalla scelta delle tendenze e delle materie prime per arrivare al commercio del prodotto in negozio, trascorrono mediamente due anni. Nel caso del fast fashion il ciclo di vita dei prodotti è solo di qualche settimana.
A causa di questa tendenza, la quantità di vestiti realizzati, e successivamente gettati via, è aumentata drasticamente. Così i capi, sotto forma di rifiuto, hanno raggiunto un ammontare di 58 milioni di tonnellate nel 2000. Oggi si stima che il numero sia più del doppio, mentre nel 2030 si prevede che arriveranno a 145 milioni.
Oltre al brand Zara, che costituisce parte del gruppo Inditex, sul mercato ci sono altri marchi dai costi molto contenuti, quali ad esempio H&M. In più si sta affermando l’ultra-fashion, l’acquisto massiccio di capi tramite le piattaforme di vendite online.
In termini di rifiuti, secondo le stime, a livello europeo ogni consumatore getta 11 kg di rifiuti all’anno, di cui l’87% finisce direttamente in discarica.
Stando ai dati diffusi dall’UNEP, Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, gli stabilimenti tessili generano un volume d’affari pari a 1,5 trilioni di dollari annualmente. Al tempo stesso sono responsabili fino all’8% delle emissioni totali di gas serra e generano il 9% di microplastiche negli oceani.
Oltre all’effetto ambientale c’è anche un’allerta direttamente correlata alla salute di chi acquista questi prodotti. La rivista tedesca Oko-test, infatti, l’anno scorso ha svolto un’indagine su molti capi del colosso cinese Shein, rilevando una presenza allarmante di sostanze chimiche tossiche. Questa inchiesta ha esaminato 21 articoli per ogni età, dai neonati agli adulti, e un paio di scarpe per ciascuna fascia. I risultati hanno mostrato che la maggior parte dei prodotti non ha superato il test, e solamente un terzo degli articoli ha ottenuto un giudizio sufficiente. Tra le sostanze pericolose evidenziate dalle analisi di laboratorio ci sono antimonio (metallo tossico che può essere assorbito dalla pelle), dimetilformammide (pericoloso per la fertilità), piombo e cadmio (dannosi per la riproduzione, reni e ossa), IPA (nocivi in quanto sostanze cancerogene vietate nei prodotti tessili).
Per combattere questo fenomeno ci sono degli accorgimenti dettati da un approccio maggiormente consapevole e sostenibile in termini di acquisto e consumo dell’abbigliamento.
In primo luogo, si possono ridurre gli acquisti dettati dall’impulso chiedendosi se si ha effettivamente bisogno di quel capo e quanto spesso lo si utilizzerà. La scelta di vestiti di qualità realizzati con materiali durevoli e che possono durare nel tempo può eliminare la tendenza all’acquisto ripetuto nel breve tempo. In secondo luogo, prediligere aziende che adottano pratiche responsabili ed eticamente virtuose favorisce un acquisto consapevole e allo stesso tempo promuove il mercato dell’usato e dell’abbigliamento vintage. Ci sono infine diversi marchi che fanno della promozione del riciclo, riuso e riparazione dei vestiti una vera missione. Optare per questi brand contribuisce alla creazione di un’economia più circolare nel settore tessile.
Il fast fashion ha un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute dei consumatori. Un acquisto più oculato e meno dettato dalla frenetica ricerca di seguire i trend del momento consente di tutelare il mondo in cui viviamo e sperimentare delle scelte responsabili che impattano positivamente sul nostro quotidiano e sul nostro benessere.