8 Giugno, Giornata Mondiale degli Oceani
Dai polmoni del pianeta agli abissi dell’indifferenza: numeri, colpe e speranze per l’oceano che ci tiene in vita
“Abbiamo un pianeta d’acqua. E continuiamo a comportarci come se fosse una discarica.”
L’8 giugno è la Giornata Mondiale degli Oceani. E già questa frase mi fa arrabbiare. Perché se serve una giornata per ricordare che il 70% della Terra è fatto di acqua salata, allora vuol dire che stiamo messi male. Ma male davvero. Perché stiamo dimenticando che il mare ci tiene in vita. E che lo stiamo uccidendo.
Il mare produce oltre il 50% dell’ossigeno che respiriamo, grazie al fitoplancton e alle alghe microscopiche che compiono fotosintesi. Il mare assorbe il 30% della CO₂ che emettiamo ogni anno, attenuando gli effetti del cambiamento climatico. Il mare regola la temperatura, guida i monsoni, sostiene la pesca, alimenta miliardi di persone. E noi, che facciamo? Lo distruggiamo, centimetro dopo centimetro.
Secondo l’UNEP, oggi nei mari galleggiano oltre 150 milioni di tonnellate di plastica. Ogni anno ne aggiungiamo almeno 8 milioni di tonnellate. Una camionata al minuto. E non è un modo di dire: una camionata ogni sessanta secondi. Microplastiche sono state trovate nei ghiacci dell’Artico, nelle placente umane, persino nei polmoni dei neonati. Perché se inquini il mare, inquini tutto. È una legge della fisica, prima ancora che dell’ecologia.
E allora? Allora le barriere coralline stanno morendo. L’IPCC ha stimato che il 90% delle barriere coralline potrebbe scomparire entro il 2050 se le emissioni non scendono sotto i livelli critici. Con loro, spariranno migliaia di specie. I coralli sono il nido dell’oceano. E quando muore il nido, muore la vita.
Nel frattempo, la temperatura dell’acqua cresce. Dal 1901 ad oggi, la superficie marina si è riscaldata in media di 1,5 °C, con picchi fino a +5 °C in alcune zone tropicali. Il risultato? Ossigeno disciolto in calo del 2% negli ultimi 60 anni. Un oceano più caldo è un oceano più asfittico. E un oceano asfittico è un cimitero blu.
“Lo sapete che conosciamo meglio Marte che i nostri abissi?”
Sì. Perché finora abbiamo esplorato meno del 10% degli oceani, ma li sfruttiamo come se fossero cave a cielo aperto. Pesca a strascico, trivellazioni offshore, scarichi tossici, acque reflue non trattate: ogni anno l’Organizzazione Marittima Internazionale registra oltre 3.000 incidenti chimici gravi nei mari. Ogni settimana si versano in acqua circa 1.000 tonnellate di petrolio, volontarie o accidentali.
E mentre i ghiacci artici si sciolgono a una velocità mai vista in 40 anni – oltre 70.000 chilometri quadrati all’anno, equivalenti a due volte la superficie del Belgio – le acque si innalzano, i pesci migrano, le popolazioni costiere si preparano a diventare rifugiati climatici.
Ma nessuno ne parla. Perché il mare è silenzioso, muore senza far rumore, e nessuno se ne accorge.
“Ma non tutto è perduto. C’è chi combatte.”
Sì, c’è chi resiste. Ed è giusto dirlo. Perché non tutto il genere umano è cieco. C’è l’iniziativa europea Mission Restore our Ocean & Waters, che ha coinvolto oltre 150 enti pubblici e privati in azioni concrete di bonifica, riforestazione marina e protezione della biodiversità.
C’è il progetto Ocean Cleanup, che ha già rimosso oltre 10.000 tonnellate di plastica nel Pacifico e sta testando nuove barriere per raccogliere i rifiuti alla foce dei grandi fiumi.
C’è il lavoro degli scienziati del Coral Restoration Consortium, che coltivano e trapiantano coralli resistenti all’acidificazione in Florida, nei Caraibi, in Australia.
C’è il modello Iberdrola-East Anglia One in Inghilterra, dove le installazioni di energia eolica vengono costruite in armonia con la fauna marina, proteggendo porpoise e uccelli migratori.
C’è il movimento globale delle Marine Protected Areas, che oggi copre circa il 8% degli oceani: ancora troppo poco, ma in crescita. L’obiettivo dell’ONU? Arrivare al 30% entro il 2030. Ambizioso, ma necessario.
E poi c’è la nuova generazione: quella dei giovani volontari che puliscono le spiagge, dei biologi marini che studiano il plancton, degli attivisti che si incatenano alle piattaforme petrolifere. Loro sono l’unica meraviglia che ci resta.
“Sustaining what sustains us”, dicono a Nizza, dove verrà celebrata la Giornata degli oceani 2025. Ma il punto non è sostenerlo. È salvarlo. Ora.
Perché questa non è una giornata di festa. È una giornata di verità. Di resa dei conti. Perché l’oceano non ha bisogno di retorica, né di hashtag. Ha bisogno di rispetto. Di scelte. Di scienza. Di giustizia.
E allora parliamone, ma davvero. Fermiamo le trivelle. Imponiamo tasse globali sulla plastica e investimenti obbligatori in tecnologie di recupero marino. Mettiamo uno stop alla pesca illegale. Obblighiamo alla riforestazione delle mangrovie. Imponiamo divieti veri, controlli veri, sanzioni vere.
Perché se il mare muore, moriamo anche noi. E nessun summit, nessuna dichiarazione, nessuna bandiera issata a Nizza potrà salvarci.
Solo una cosa potrà farlo: la volontà feroce di cambiare. Prima che sia troppo tardi.
Il Mare in 10 Numeri che Fanno Male
Indicatore |
Valore/Informazione |
Copertura del pianeta |
Gli oceani coprono oltre il 70% della superficie terrestre |
Produzione di ossigeno |
Oltre il 50% dell’ossigeno prodotto proviene da organismi marini |
Assorbimento CO₂ |
Circa il 30% della CO₂ emessa ogni anno viene assorbita dagli oceani |
Plastica in mare |
150 milioni di tonnellate già presenti; +8 milioni di tonnellate ogni anno |
Microplastiche |
Rinvenute in pesci, sale marino, acqua potabile, latte materno, placente umane |
Barriere coralline |
Oltre il 50% a rischio di collasso per acidificazione e surriscaldamento |
Esplorazione degli oceani |
Solo il 10% degli abissi marini è stato realmente esplorato |
Zone morte (ipossiche) |
Più di 500 aree marine dove l’ossigeno è insufficiente alla vita |
Marine Protected Areas (MPAs) |
8% delle acque globali protette – obiettivo ONU: 30% entro il 2030 |
Versamenti di petrolio |
1.000 tonnellate settimanali di sversamenti accidentali o illeciti |
di Isabella Zotti Minici