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“Non puoi avere sviluppo sostenibile se fai la guerra”. Lo ha detto Jeffrey Sachs, l’economista cattolico della Columbia University, intervenuto all’European Innovation for Sustainability Summit. Il biennio 2023-2024 rischia di passare alla storia come quello in cui le contraddizioni del mondo sono esplose, apparentemente, senza una “guida”. Per Sachs, la guida c’è e sono gli Usa.

Gli Stati Uniti vogliono essere il comandante in capo del mondo, secondo il prof americano. Dal dopoguerra in poi abbiamo assistito al loro ruolo di regolatori della storia. Le sfide globali, tuttavia, ne hanno molto offuscato la forza e il paese ha dovuto misurarsi- a corto di idee- con cambiamenti epocali. La presidenza di Donald Trump, dell’America First senza pensare che a se stessa è stata lo sconquasso peggiore degli ultimi trent’anni. Quello che ci arriva in questo giorni con l’aumento dei dazi sulle importazioni dalla Cina è, peraltro, emblematico di un mondo avviluppato in un’unica grande rete di interscambio. Dentro quella rete ci sono colpi straordinari commerciali e industriali. La rete viene spinta dai denari, da movimenti finanziari e operazioni audaci che inquietano. Anche nella vecchia, cara Europa.

I progetti di sviluppo sostenibile, per esempio, sono la cartina di tornasole di come i Poteri si rapportano ai cambiamenti climatici, ai bisogni di milioni di persone, alla necessità di non morire di inquinamento, all’urgenza di cambiare modo di produrre e di consumare. È evidente che finché le élite penseranno a guerre armate i cambiamenti climatici saranno declassati in un appendice della storia. Cosa succede nel mondo industriale ? Un recente report della società di consulenza Accenture sostiene che il 61% delle imprese europee vuole raggiungere la neutralità climatica nei tempi indicati dall’Unione europea. Per tenere il passo i due terzi hanno aumentato gli investimenti. In Italia, settima potenza economica mondiale, meno del 20% “attualmente è sulla buona strada per azzerare le proprie emissioni nette entro il 2050″. Il salto transatlantico dagli Usa all’Italia, dai dazi di Joe Biden alla filiera produttiva poco virtuosa ci fa capire che le economie sviluppate devono guardarsi dentro e accelerare le azioni necessarie per “abbattere la barriera della decarbonizzazione, come dice Sandro Orneli, manager di  Accenture.

Lo scheletro dell’economia italiana sono le piccole e medie industrie. A migliaia hanno capito la necessità di riconvertire il modo di produrre, innovando, riciclando e recuperando materiali. I costi di produzione devono scendere per competere e per loro fortuna non c’è ancora un Biden che blocca le- ahinoi!- necessarie importazioni dall’estero. Le tecnologie utili a costruire una nuova economia sono di proprietà cinese, coreana, giapponese e non è colpa dei Signori Rossi, Bianchi  , Brambilla se lì sono stati più lesti di tutti. Non è un infortunio della storia se la Cina non è in armi con nessuno. Dentro la rete mondiale combattono e vincono la loro guerra commerciale dagli Usa alle officine del Nord Est italiano. Jeffry Sachs ha ragione.

di Nunzio Ingiusto