Categorie: Editorial
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C’è la sfida commerciale rappresentata dai mercati emergenti come la Cina, in una concorrenza difficile da fronteggiare. C’è la sfida di capire come sarà la nuova America, e come vorrà modellare il mondo, aprendo un’era di rapporti nuovi con la Russia e la Cina. C’è la grande sfida con la scienza, che cambia le nostre vite e le proietta verso traguardi impensabili.

C’è la sfida sociale di creare una civiltà degna di questo nome, con mariti, mogli, padri e madri migliori. Dato che il novanta per cento dell’umanità è costituito da mariti e mogli, e il cento per cento ha genitori, dato che matrimonio e creazione di una famiglia costituiscono il dato più intimo della vita umana, è evidente che il nostro mondo deve adoperarsi per produrre migliori mariti, mogli, padri e madri, che sappiano costruire vite più felici e costituire, di conseguenza, un più alto tipo di civiltà. La qualità di uomini e donne coi quali viviamo è assai più importante del lavoro che essi compiono. D’altro canto, una civiltà che ignori la persona e la famiglia, relegandole all’ultimo posto nella propria considerazione, non può essere chiamata civiltà.

Un’altra grande sfida per il futuro, a mio avviso, è quella di concentrare tutti gli sforzi sull’insegnamento dei valori ai giovani e ai bambini nelle scuole. Io punto sulla loro intelligenza ancora intatta, fresca e non contaminata dalla mediocrità e dalla stupidita’ che li circonda. Scommetto che lavorando seriamente, e senza dimenticare l’aspetto ludico e gioioso dei bambini che vogliono imparare, riusciremo in futuro ad avere una società veramente migliore e civile. Ogni cosa nasce dalle radici e da quello che si dà in partenza. Bisogna fare di tutto per evitare di danneggiare lo spirito sincero dei bambini che entrano nel mondo, con tutte le loro possibilità e  potenzialità.

Un’altra sfida è accettare il mutamento senza rimpiangere il passato. Accettare la tecnologia, ma soprattutto usarla e non farsi usare, quindi più cuore e meno App, più baci e abbracci e meno social network.

E, infine, la più grande sfida: accettare che l’uomo fa parte della natura. Sono cresciuto in una casa dove si sprecava molto poco, anzi era un “peccato” lasciare del cibo nel piatto. Il compostaggio era familiare e scontato, e quando leggo articoli che affermano che in molte città vi sono sprechi alimentari m’indigno, pensando che tutto questo c’impone di cambiare prospettiva al più presto. La mia, data dall’esperienza, è quella di un’attenta gestione delle risorse della terra, non quella che pone l’uomo al di fuori o che ha il dominio, ma profondamente legato ad essa. Le tradizioni animistiche e la spiritualità aborigena parlano in modo più congruente dell’umano come parte integrante della natura, come un essere tra i tanti, connesso a tutto il resto.

Robert Jhonson

Founder & CEO of JRC