“Il cliente ha sempre ragione”.
Chissà chi fu, a suo tempo – e in quale tempo – a coniare l’insindacabile sentenza turistico – ristorativa. O presunta insindacabile. C’è da farsi molte domande in merito: che cosa sia la ragione, dove effettivamente stia, o se sia solo un pretesto, per adagiare il/la ristoratore in un servizio a completo appannaggio di chi consuma. Consumatore poi, che sa perfettamente cosa vuole, dove trovarlo, e come vorrebbe mangiarlo. La ragione del cliente, e la ragione dei locali: sull’altro versante, ci sono però posti diversi, ristoranti e bistrot che rimangono pop-popolari per scelta di vita, hanno un’idea ben precisa e la propongono, così come sta. Tocca al cliente fidarsi: entrare in un piccolo spazio di 20 coperti e pochi metri quadrati, sedersi – al tavolo, o lungo il bancone – e accettare le proposte: come al Santabarbara Desco e Cucina.
Ma quindi, Lorenzo: secondo te il cliente ha sempre ragione?
“Ah, domanda spinosa, nel senso… come tutte le cose, è un 50 e 50. A volte il cliente è difficile, a volte lo chef è molto testardo. Semplicemente, se non c’è apertura da una parte o dall’altra, si va allo scontro. Però, senza barriere tra cucina e sala, si evita l’incomprensione: noi, al Santabarbara, chiediamo sempre all’ospite come sta, se ha intolleranza prima dell’esperienza, come reagisce al piatto quando lo finisce. Poi ci sono casi e casi, da una parte e dall’altra, al netto degli imprevisti”. Lorenzo Chirimischi, insieme a Alessio Ninci: i due sono proprietari, e cuochi, del Santabarbara Desco e Cucina.
Il Santabarbara è incasellato tra gli edifici fiorentini di via Pier Capponi 72/A – a trenta minuti di passi dal centro – dallo scorso 2024, quando Lorenzo e Alessio hanno “aperto” la loro idea di ristorazione; un posto dove “l’atmosfera calda, la musica Rock/Hip-Hop e la cucina dinamica fanno da cornice al progetto che prefissa di scuotere la stagnante scena gastronomica fiorentina” (cit. il loro sito web). Per entrambi, liceo alle superiori e università poi: matematica Alessio, lettere Lorenzo. Dalla sala e dalla lavastoviglie, inizia la passione per la cucina. I due si conoscono, dopo anni e svariate esperienze, al ristorante Essenziale, dove lavorano per tre anni. Prima e dopo Essenziale, alla rinfusa: esperienze Michelin e toscane – da una a tre stelle – viaggi scandinavi, un van-trip down-under (Alessio) e un ristorante sott’acqua a Lindesnes, Norvegia (Lorenzo), la gestione di cucine praghesi e lavori locali, fino alla loro idea, completamente autofinanziata.
Perché Santabarbara? Da cosa nasce, e perché?
“Il Santabarbara è l’espressione della nostra idea di ristorazione – continua nell’intervista Lorenzo – dal numero di coperti, al menù, al coinvolgimento dello staff. Cerchiamo di fare un lavoro collettivo, per rispondere al bisogno del mercato di dare qualcosa di nuovo a Firenze. Non volevamo un ristorante di grandi dimensioni (per n. motivi) e cercavamo una gestione più facile (che non è mai facile, nella ristorazione) con meno persone. Il locale è piccolo, ma finora le persone che sono venute a mangiare hanno capito l’atmosfera e l’intimità. In questo modo possiamo avere materie prime di livello, riducendo i costi. Rispondiamo al nostro bisogno di un locale a metà tra il ristorante importante e il posto da tutti i giorni: un locale pop, con delle offerte trasversali e senza sorprese nel conto. I prezzi sono quelli, prima di entrare il cliente sa già quanto spenderà”.
“I prezzi sono quelli” e “offerte trasversali”: al Santabarbara questo si traduce non in un menù tradizionale – antipasti, primi, secondi – ma in quattro proposte, quattro percorsi da 25€, 45€ (x 2) e 60€. Fulmine, Cannone, Torre e Spada: sono rispettivamente i nomi delle quattro soluzioni – la nomenclatura si rifà al mito della martire cristiana santa Barbara, dall’agiografia un filo movimentata – che variano nel numero di portate e nel viaggio culinario che propongono: una tuonata di piatti-tapas, un arrocco sulla tradizione, la creatività esplosiva, o un fendente completo a tutta la loro expertise ai fornelli.
Una curiosità: dati i prezzi, quanto verrebbe a costare un vostro menù, in un ristorante “normale”?
“Premesso che ogni ristorante ha la propria gestione e le proprie spese, tra contratti, tasse, manutenzione e materia prima – che rispetto e non giudico – penso che la nostra proposta, in un altro contesto, potrebbe costare 15, 20€ in più”.
Secondo te, Lorenzo, qual è la scelta più importante che avete preso per il Santabarbara?
“Non ce l’aspettavamo, ma per me l’idea più vincente del nostro format – facendo le corna – è la formula degli entrée iniziali (del percorso Fulmine e dell’entrée di Cannone e Torre), perché il cliente si ritrova con una serie infinita di piattini che invadono il tavolo; sono tanti e la gente si prende ad assaggiarli tutti, a condividerli: il cardoncello saltato, l’uovo pochette, la giardineria, un carpaccio che sembra roastbeef, l’insalata cavolo e kiwi… (piattini alla rinfusa provati dal sottoscritto, ndr); in un momento social come il nostro, sono stati involontariamente un traino. E poi creano convivialità”. Come si traduce, questo, per il cliente? Che non si sceglie il piatto, ma l’esperienza (e la quantità): il resto è un atto di fede gastronomico – ovviamente, non prima di aver reso note intolleranze e allergie – fatto dagli avventori al Santabarbara. Uno stimolo alla curiosità, un mettersi in gioco: non solo da parte di chi cucina, ma anche di chi mangia.
Nel vostro sito definite la vostra esperienza “sana”: in che senso?
“La intendiamo in tanti sensi: non solo una cucina fatta bene, ma un metodo che eviti gli sprechi. Lavoriamo materia prima del giorno stesso, sapendo quanti clienti avremo la sera; compriamo il giusto, utilizzando il personale con senno (oltre a Lorenzo e Alessio, lavorano altri tre dipendenti, full time). Con un menù “classico” – continua Lorenzo – avremmo dovuto avere almeno tre capipartita, uno per corsa, a lavorare tutto il giorno su tutta la linea degli ingredienti, senza la certezza di utilizzo; uno spreco di tempo, di energia (pensa allo stoccaggio) e di freschezza. Quindi, l’esperienza è eticamente sana dal punto di vista culinario, alimentare e lavorativo: contratti a tempo pieno, orario fisso, con due giorni liberi per tutti (la domenica e un giorno a scelta), e straordinari pagati. È un sistema delicato – prosegue Lorenzo – su cui stiamo lavorando per ridurre ancora le ore di lavoro; conta che siamo aperti da meno di un anno, siamo in fase embrionale”. Il Santabarbara lavora solo la sera, dalle 19 alle 22.30, ed è aperto sei giorni su sette, dal lunedì al sabato.
Dato il vostro sistema, come funziona l’approvvigionamento della materia, non avendo un menù vero e proprio?
“Non abbiamo un menù, ma facciamo un plan su quel che vorremmo proporre, in base alla stagione. Ci affidiamo alle botteghe locali: dalla macelleria storica Mignani di Borgo San Frediano, all’ortofrutta di Gianni, al mercato di San Lorenzo. Chiamiamo, o facciamo un giro, e parliamo: cosa conviene comprare, cosa c’è di buono, cosa ci sconsigliano per i prezzi alti in quel momento. Per il pesce, uguale: vado io al mattino presto al mercato – dice Lorenzo – idem per i latticini. Si muove tutto sul rapporto giornaliero/settimanale, e anche noi ci fidiamo di quel che ci dicono. Essere sostenibili – continua – vuol dire anche sostenere le imprese locali; per esempio, un giorno, a Gianni, è caduta la cassetta di pere. O la si vende subito, o da ammaccate si buttano. L’abbiamo presa noi e c’abbiamo fatto un sorbetto. Non avendo un menù fisso, siamo più flessibili, e quindi s’è aiutato la comunità”.
Ci sono altri locali, in Italia, che possono essere esempio per un modo alternativo di fare ristorazione?
“Ce ne sono tanti, il primo che mi viene in mente è Contrada Bricconi, nel bergamasco (che coinvolge un intero borgo della Val Seriana). Poi ti dico Casa Boscherini, sui monti di Londa, qui in provincia di Firenze: una casa, con un solo tavolo, a fare da ristorante. A 5 km da Lucca, c’è Fattoria Sardi, che è come dicono loro un “ristoro agricolo”, che segue stagioni e produzione del territorio. E sulla stessa filosofia, c’è podere Arduino Bolgheri, però qui sono specializzati nella olivicoltura (mentre alla Sardi hanno perlopiù vigneti)”.
Domanda spinosa: come vedete voi la ristorazione italiana? Qual è il maggiore problema?
“Il problema è talmente grande… ti rimando all’intervista diventata virale di fine marzo a Diego Rossi, titolare del Trippa, a Milano. In questo momento il problema più grosso, secondo me, riguarda la manodopera, ma non nel senso di paghe basse o tanto lavoro. È proprio la forza lavoro, il problema: di quante persone vogliono lavorare nella ristorazione. Il guadagno per gli imprenditori sono risicati, gli stipendi si stanno alzando (per il calo di manodopera), ma si possono aumentare solo entro una certa soglia, altrimenti con le tasse e i contributi da pagare, diventa impossibile. O lo stato si aggiorna su queste cose, oppure la gente abbandona, e la passione cala”.
Ecco, passione. E poi la cura, mediata tra cliente, mercato e lavoro. Di queste quattro cose, alla fine resta la domanda iniziale: ma la ragione, dove la mettiamo? (Tentativo di) Risposta: sotto, alla ristorazione. La ragione al servizio, come il più umile dei camerieri. La ragione serve, quando c’è tutto il resto a comandare; il cuore, per esempio. E la comunità. Questioni di sensibilità diverse, non solo ad appannaggio economico, ma anche – e soprattutto – sociale, gastronomico, comunitario. Il Santabarbara Desco e Cucina ne è un esempio, non solo per una chiacchiera da intervista, ma perché è stato provato sul posto, ed è stata provata l’invasione di piattini, sul banco, l’abbinamento dei vini, le portate che richiamano alla tradizione, o creano spaghetti freddi in salsa di ostriche, agretto e limone bruciato; la vicinanza agli altri commensali. Il servizio passo passo. Cura e fiducia, insieme alla gestione economica e all’esperienza lavorativa.
Ultima domanda: la stella Michelin? Vi interessa?
“No, assolutamente. Sappiamo cosa vuol dire perseguire la stella o un riconoscimento simile, e prenderla è una soddisfazione bellissima, ma sarebbe fuori dal taglio di Santabarbara, che è molto pop. Non siamo a quel livello canonico di servizio e non lo vogliamo, per il tipo di format proposto da noi. Va più che bene essere citati in una guida, ma oltre questo sarebbe fuori luogo”.
Foto realizzate da Carlotta Vigo
di Damiano Martin