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NellAgenda2030 tra i 17 goal previsti dallONU per lo sviluppo sostenibile, lobiettivo numero 10 rimanda alla riduzione delle ineguaglianze, negli Stati e tra gli Stati. Nel primo caso, interno, uno dei primi pensieri va alla disparità tra uomo e donna: orari di lavoro ineguali, contratti ineguali e, di conseguenza, condizioni salariali ineguali. Il tema è trattato in maniera più specifica nel quinto goal: Raggiungere luguaglianza di genere e lempowerment di tutte le donne e le ragazze”. Una sorta di sottoinsieme specifico della più generale ineguaglianza, una ricerca di riequilibrio che guarda costantemente alla donna, raramente alluomo. 

Come è possibile livellare i due piatti della bilancia, se non si abbassa luno per permettere allaltro di alzarsi?

I dati, europei e nazionali, comparano la dimensione lavorativa sottolineando il punto di partenza femminile e quello ipotetico di arrivo. Nessun Stato europeo ha raggiunto, a oggi, la piena parità tra uomini e donne. Nel decennio 2013-2022 vi è stato un avvicinamento di 5,5 punti percentuali, laddove le donne continuano a rappresentare la maggioranza nei settori peggio retribuiti e la minoranza nei lavori apicali. Il divario retributivo in ottica di pensione – inficiato dalla cattiva retribuzione – è del 33%, sempre nellUE. LItalia è al 32° posto per livello di avanzamento nella realizzazione dellObiettivo 5, 3,6 punti sotto la media europea (secondo il Gender Equality Index). Il 34% delle donne si cura dei familiari e l81% delle faccende quotidiane, contro il 24% e il 20% degli uomini. Dal punto di vista salariale, nel solo Veneto, un dirigente uomo percepisce 400 euro in più, un quadro maschile 470 euro in più, un impiegato 200 euro in più.

Questi sono solo alcuni dati estrapolati dalla delibera della giunta regionale del Veneto 1522/2022; culturalmente siamo portati a pensare che siano le donne a doversi innalzare a livelli maschili, ma siamo meno propensi a considerare una parola fondamentale: equilibrio. E lequilibrio dovrebbe prevedere giocoforza una figura maschile meno impegnata dal punto di vista lavorativo e più partecipe nella vita quotidiana familiare. 

Il punto di partenza si riassume nelle parole di Roberto Baldo, responsabile Attività e progetti finanziati di Fòrema, che raccorda nel suo lavoro le politiche regionali con gli obiettivi e le messe in opera aziendali. Il tema della Gender Equality ricorre da cinquantanni. La differenza, oggi, è la portata significativa del termine, sia in ambito di diversity manager – differenziare le competenze manageriali – che di forza lavoro necessaria per il mercato del lavoro”, dice Roberto Baldo. Il problema non è (solo) femminile, ma familiare.Se nel bilancio marito-moglie il salario del primo è maggiore – continua Baldo – vien da sé che sia la donna a richiedere un lavoro part-time e a sacrificare il proprio lavoro e la prospettiva pensionistica per il bene della famiglia”.

Una questione di quotidianità” è lopinione di Laura Schettini, ricercatrice del dipartimento di Scienze Storiche allUniversita’ di Padova, insegnante di Storia delle donne e di genere, e parte della commissione Gender studies dello stesso Dipartimento. Alle donne si somma limpegno lavorativo con quello quotidiano; il vantaggio degli uomini non è solo in termini pratici, ma esistenziali. Non avere responsabilità (anche noiose) è un vantaggio che consente di mantenere un ruolo di potere”. Spesso però la mascolinità giudica un uomo impegnato nelle faccende casalinghe, o in generale nella cura, come sintomi di fragilità. “È uno degli stereotipi della crisi della mascolinità, che perdura da duemila anni e serve per resistere a rinunce di potere e cambiamenti”, continua Laura Schettini, “La quotidianità non è una dimensione di fragilità, ma solo meno competitiva e con meno potere.”

In sostanza, si tratta di un problema culturale da cui non si può uscire nellimmediato. Se il maschilismo giudica sé stesso denigrando questa presunta fragilità, la soluzione secondo Laura Schettini sta nella collettività. Scegliere i modelli giusti è fondamentale”, chiosa Schettini, “in primis, guardare e scegliere a quale sguardo maschile sottoporsi per farsi giudicare; si tratta di eleggere in maniera più esplicita quali siano i modelli e le azioni da perseguire, isolando i giudizi negativi e creando reti più giuste e uguali nel rapporto maschio-femmina.”

Se questo riguarda la quotidianità, nel mondo del lavoro – laltra faccia delle nostre giornate – il processo è altrettanto difficile, e la parola chiave continua ad essere diversità. In un mercato dove la parola dordine è peopleshot – ricerca di persone, più che di competenze, in mancanza di forza-lavoro – si tratta di fornire un modello di servizio a tre marce” spiega Roberto Baldo. E’ necessario analizzare i bisogni e individuare i problemi; mettere in campo soluzioni a livello di human resources nel lungo periodo, in modo da creare condizioni di lavoro stabili; analizzare i feedback per mantenere la ciclicità di analisi. Le aziende non si devono arrangiare da sole, ma vanno accompagnate in una rete convergente nel territorio, tra enti pubblici e privati, per facilitare ed equiparare il lavoro maschile e femminile. Il caso degli asili nidi di Luxottica, nel 2018, è stato esemplare: anziché creare una scuola aziendale, si sono estesi gli orari nelle scuole della valle agordina grazie alla sinergia tra educatori e azienda.”

Le normative attuali però mancano ancora di questa prospettiva, basti pensare ai congedi parentali. Se le donne possono gestire mesi di inattività, alluomo spettano al massimo dieci giorni, un numero irrisorio che impedisce un aiuto sostanziale alla vita delle donne, in termini lavorativi e quotidiani. È possibile però lavorare dal basso, agendo sulle politiche aziendali e sulla vita di tutti i giorni. 

Una vita più uguale è certamente possibile: si tratta di saper mantenere lequilibrio.

 

di Damiano Martin