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«Cinque persone entrano in una stanza in cui ci sono solo quattro sedie. Chi si siede e dove? Possono fare il “gioco delle sedie” o possono allinearle per formare una panchina che le possa accomodare tutte».

Inizia pressapoco così il discorso di apertura della diciassettesima biennale di Architettura curata da Hashim Sarkis.

«Abbiamo bisogno di un nuovo contratto spaziale» continua Sarkis. « In un contesto di divisioni politiche acutizzate e disuguaglianze economiche crescenti, chiediamo agli architetti di immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme. Insieme come esseri umani che, nonostante l’individualità crescente, desiderano ardentemente connettersi tra loro e con altre specie attraverso lo spazio digitale e reale; insieme come nuovi nuclei familiari alla ricerca di spazi abitativi più diversificati e dignitosi; insieme come comunità emergenti che reclamano equità, inclusione e identità spaziale; insieme oltre i confini politici per immaginare nuove geografie di associazione; insieme come pianeta che sta affrontando crisi che esigono un’azione globale affinché tutti noi continuiamo a vivere».

Sono questi solo alcuni degli stralci di un discorso complesso ed affascinante, che si apre con una domanda: “How Will We Live Together?. Una domanda, che è insieme il titolo della diciassettesima Biennale di Architettura di Venezia e una questione aperta che Sarkis pone agli architetti, certo, ma anche ai tutti coloro che vivono ogni giorno la propria vita quotidiana come studenti o imprenditori, come impiegati o automobilisti operai o consumatori e così via.

Proprio l’idea dello stare insieme sarà fisicamente al centro del dibattito internazionale sul tema dell’architettura che va in scena nel contesto unico degli spazi della biennale tra il 22 maggio scorso e domenica 21 novembre 2021. Un confronto teorico e pratico, visibile e virtuale frutto degli interventi di 112 partecipanti provenienti da 46 Paesi del mondo, quest’anno con una maggiore rappresentanza da Africa, America Latina e Asia e con un’ampia rappresentanza femminile.

La Mostra è organizzata in cinque “scale” (o aree tematiche), tre allestite all’Arsenale (Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities) e due al Padiglione Centrale (Across Borders e As One Planet).

L’occasione per immergersi fino a sviluppare tutte le gradazioni della sindrome di Stendhal è quindi a potata di mano tra i padiglioni e le opere, i modellini e le provocazioni dei migliori architetti del mondo che quest’anno si sono posti, come necessariamente accade a tutti noi, una domanda fondamentale: “Come si fa a vivere insieme?”

Empatia, impegno nei confronti dell’altro, densità abitativa, tecnologia e innovazione, il condominio e l’abitazione collettiva, gli spazi di gioco e di lavoro e molto altro ancora sono i percorsi che la diciassettesima Biennale di Architettura offre assicurando un ventaglio di proposte, pensieri e riflessioni che difficilmente si potrebbero leggere altrove in un’unica occasione.

“How Will We Live Together?” non prevede una risposta univoca e forse neppure pretende di fornire una risposta vera e propria ma assicura come sempre, tra i padiglioni dei Giardini della Biennale, l’Arsenale di Venezia e le tante mostre collaterali presenti tra le calli, i canali e i palazzi della Serenissima, infiniti sentieri e suggestioni, capaci di dare la scintilla a nuove idee o a soluzioni che potranno diventare utili nelle occasioni più disparate anche e soprattutto quando meno lo si aspetta.