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Le parole sono consumate dal tempo. Da che mondo è mondo nessun essere umano riesce a fare a meno della parola, cosa che lo rende protagonista del tempo in cui vive. 

La velocità con la quale compiamo le nostre azioni ne consuma parecchie di parole, arrivando a produrre anche un’ideale classifica. Ai primi posti nel mondo c’è, indubbiamente, la parola sostenibilità. Se ne fa un uso talmente largo che spesso avvertiamo la necessità di riflettere sul suo reale significato. 

L’economia e la politica la caricano di significati, anche impropri, pur di riscuotere consenso. Ma è sulla sostenibilità sociale che bisogna insistere per avere meno squilibri nel mondo. I grandi fenomeni del nostro tempo – conflitti, cambiamenti climatici, disuguaglianze, ingiustizie – sono collegati tra loro da varie trame. La salvaguardia del pianeta, per esempio, è motivo di mobilitazione per milioni di persone che connettono il tema ad altre questioni globali. 

La sostenibilità sociale è stata declamata dalle organizzazioni internazionali, definita per l’insieme delle aspettative che suscita. E’ una parola senza tempo? Raffigura un processo globale che, per deve fare i conti alla radice con disagi o benessere, guerra o pace, ricchezza o povertà, lavoro o disoccupazione, democrazia o dittatura. La sostenibilità sociale è tale se include le ragioni di fondo che incidono sulla vita delle comunità. Il fattore climatico è diventato selettivo per le popolazioni del mondo. I Paesi industrializzati hanno un potenziale tecnico e scientifico alto per far fronte ai cambiamenti climatici, mentre quelli poveri soffrono di deficit storici che non garantiscono niente e nessuno. Abbiamo contesti variegati dove i bisogni e le necessità sono diversamente gestiti. 

La coesione sociale, da cui scaturisce la sostenibilità, è minata da conflitti, da spinte per il dominio di una forza sull’altra, di una classe su un’altra. L’attenzione che i Paesi ricchi dedicano a quelli poveri sconta, poi, le scelte incoerenti delle classi dirigenti. Il mondo industrializzato ha prestabilito dei tempi per arrestare il declino del pianeta, i Paesi poveri non possono fare nessuna previsione. Farsi carico di queste paure è la base per costruire comunità coese. 

Gli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 sono schiacciati dal peso della violazione dei diritti umani, della scarsa inclusione, della generale disattenzione verso lo “scarto” della società, secondo la definizione di Papa Francesco. Persone, pianeta, prosperità, pace, partnership, sono parole inventate dagli uomini per comunicare la sostenibilità delle persone. Non hanno colpa se il mondo cambia di ora in ora, se le ingiustizie aumentano piuttosto che diminuire, se la terra è minacciata cento volte piche in passato, se la soddisfazione dei bisogni è in coda alla lista delle cose da fare. 

L’economia ha le sue responsabilità per tutto quello che la produzione, la finanza, i mercati possono fare a beneficio dei territori abitati, in primo luogo, dell’ambiente, della lotta alle povertà, delle ingiustizie. Tutte le forme di partecipazione alla socialità sono importanti e valide, a partire da quelle che modificano le relazioni con le persone da riconoscere come soggetti vitali. Per non permettere al tempo di consumare una definizione così importante.

 

di Nunzio Ingiusto