Nel design della comunicazione visiva, ogni scelta progettuale porta con sé implicazioni che vanno oltre l’estetica. Colori, caratteri tipografici, simboli e immagini non sono mai elementi neutri: essi veicolano significati che variano a seconda del contesto culturale, sociale e storico in cui si inseriscono. Comprendere questa variabilità è fondamentale per creare progetti che siano realmente inclusivi e accessibili a tutti: un progettista consapevole sa dunque che la sua responsabilità non è solo quella di abbellire un prodotto, ma anche di trasmettere valori, identità e messaggi che rispondano alle esigenze di un pubblico eterogeneo.
Nel suo libro The Politics of Design (2016), Ruben Pater sottolinea come ogni decisione progettuale possa assumere connotazioni diverse a seconda delle comunità, perché legate a valori e assunzioni culturali. Un colore, per esempio, può essere considerato positivo in una cultura ma negativo in un’altra – come il bianco, tradizionalmente associato al matrimonio nelle culture occidentali e al lutto in quelle orientali. Progettare, quindi, non significa limitarsi a creare oggetti esteticamente piacevoli, bensì compiere un atto consapevole di mediazione culturale. A conferma di questa visione, Chermayeff et al. (1973) affermano che “la progettazione efficace dei servizi pubblici è essa stessa un servizio pubblico essenziale”, sottolineando così il ruolo del design come strumento in grado di influenzare il benessere delle comunità.
Oltre a porre attenzione al contesto sociale, progettare in modo inclusivo significa anche creare prodotti e servizi accessibili a tutti, indipendentemente dalle capacità fisiche, cognitive o culturali degli utenti. Come evidenzia Donald Norman nel libro La caffettiera del masochista (1988), un buon design deve rendere intuitivo l’uso di un oggetto o di un’interfaccia, chiarendone la funzione ed evitando fraintendimenti e incomprensioni. Questo principio si estende anche alla comunicazione visiva: chiarezza, usabilità ed efficacia sono aspetti cruciali che determinano non solo la funzionalità di un progetto, ma anche la sua capacità di essere realmente comprensibile e incisivo. L’adozione di un particolare carattere tipografico, di una palette cromatica o di immagini specifiche può infatti suscitare reazioni diverse in pubblici differenti. Avere consapevolezza di queste sfumature permette al progettista di evitare comunicazioni ambigue o addirittura non fruibili da parte di determinate categorie di utenti.
In ambito digitale, ad esempio, gli standard di accessibilità web come le WCAG (Web Content Accessibility Guidelines) forniscono indicazioni pratiche per garantire inclusività e parità di accesso. Queste linee guida trattano aspetti come il contrasto cromatico, la riconoscibilità degli elementi visivi e la possibilità di navigazione tramite tastiera o screen reader, affinché ogni utente – indipendentemente dalle sue capacità – possa accedere e interagire con i contenuti. Determinati significati si consolidano poi anche grazie all’affermarsi di convenzioni condivise e all’uso ripetuto di segni visivi: ne sono esempio l’icona “hamburger”, universalmente riconosciuta come simbolo di menu in ambito digitale, così come il “carrello della spesa” utilizzato per rappresentare il riepilogo degli articoli selezionati in un sito e-commerce.
Tuttavia, l’accessibilità non implica necessariamente uniformità: un buon design deve trovare un equilibrio tra la standardizzazione degli elementi visivi e l’adattamento alle specificità di ogni contesto. Un esempio interessante è il sistema di pittogrammi sviluppato negli anni Trenta da Otto Neurath per Isotype (International System of Typographic Picture Education), che puntava a superare le barriere linguistiche attraverso l’uso di simboli semplici e adattati ai contesti locali – ad esempio modificando abbigliamento o colori alle figure per renderle culturalmente riconoscibili. Pur essendo concepiti per essere comprensibili a livello globale, questi pittogrammi mostrano però anche quanto simboli apparentemente “universali” riflettano invece norme sociali e stereotipi. Un caso emblematico e più attuale in questo senso è rappresentato dalle icone dei servizi igienici, tradizionalmente basate su rappresentazioni stereotipate di genere – figura maschile stilizzata e figura femminile identificata dalla presenza di una gonna. Negli ultimi anni, diversi progettisti hanno proposto soluzioni più inclusive, come icone neutre o indicazioni testuali prive di riferimenti al genere: anche le rappresentazioni grafiche più comuni, dunque, possono essere ripensate in chiave critica per garantire una reale inclusività.
Adottare un approccio critico nel design non significa necessariamente politicizzare il lavoro, ma riconoscere l’impatto concreto che le decisioni progettuali hanno sulla società e sul comportamento delle persone. La progettazione visiva diventa così un atto di responsabilità sociale e culturale, in cui ogni scelta espressiva contribuisce non solo a costruire un’immagine, ma anche a dare forma a una società più inclusiva e consapevole. Il design, in questo senso, può essere un potente veicolo di cambiamento, a condizione che chi lo pratica ne comprenda pienamente le implicazioni e l’impatto sulle persone e sulle comunità.
di Irene Sgarro
Bibliografia
Chermayeff, S., Alexander, C., & Alexander, C. (1973). Community and privacy: Toward a new architecture of humanism. Garden City, NY: Anchor Press. Norman, D. A. (1988). La caffettiera del masochista. Il design degli oggetti quotidiani. Milano: Giangiacomo Feltrinelli Editore.
Pater, R. (2016). The politics of design: A (not so) global manual for visual communication. Amsterdam: BIS Publishers.
Didascalia immagine 1 L’uso di colori ed elementi grafici consente di veicolare emozioni e percezioni, il cui significato non è universale, ma dipende dall’interpretazione individuale. Progetto di Marta Aghito, Nicola Bianchin, Nicolae Prisacaru, realizzato durante il corso di Progettazione grafica dell’immagine, prof. Irene Sgarro, A.A. 2023-24, SID – Scuola Italiana Design.
Didascalia immagine 2 Rappresentazioni illustrative e pittografiche differenti mostrano come uno stesso concetto – come in questo caso l’ansia – possa essere rappresentato attraverso molteplici forme visive. Progetto di Elia Frezza, Francesca Petrisor, Chiara Sorarù, realizzato durante il corso di Progettazione grafica dell’immagine, prof. Irene Sgarro, A.A. 2024-25, SID – Scuola Italiana Design.
Didascalia immagine 3 Un gesto che in una cultura può avere un significato positivo o neutro, in un’altra può essere interpretato in modo completamente diverso, dimostrando come i significati varino notevolmente tra le diverse realtà culturali. Progetto di Vanessa Elena Magureanu, Tobia Perazzolo, Emma Zoja, realizzato durante il corso di Progettazione grafica dell’immagine, prof. Irene Sgarro, A.A. 2024-25, SID – Scuola Italiana Design.