Definizione di “madrelingua”, secondo il vocabolario Treccani: “La lingua materna, cioè la lingua appresa o comunque parlata dai genitori o antenati; in genere, per chi risiede all’estero, la lingua del Paese d’origine”. Partiamo da qui: dalla lallazione degli infanti, che per imitazione imparano a riprodurre i suoni emessi dai genitori, dalle persone a loro prossimi. Una “lingua madre”: dal concepimento al parto di un nuovo corpo, segue una gestazione linguistica e sociale di una persona, che mette insieme sillabe, parole, frasi, discorsi, forse pensieri.

Nella giornata internazione della Lingua madre, istituita nel lontano 1999 dalle Nazioni Unite, è curioso provare a porre una riflessione in merito alla lingua e al linguaggio che ci è più confortevole pensare e utilizzare, sia esso un dialetto o idioma ufficiale dello stato, o una lingua appresa in seconda battuta, per i più svariati motivi. “Le lingue madri, in un approccio multilinguistico, sono fattori essenziali per la qualità dell’istruzione, che è alla base dell’emancipazione di donne e uomini e delle società in cui vivono”, affermò Irina Bokova, Direttore Generale dell’UNESCO nel 2016.

Due paragrafi, e già due sottolineature a una alterità, a quanto pare “necessaria” per pensare al concetto di maternità linguistica. “La lingua del paese d’origine”, “l’approccio multilinguistico”, sono locuzioni che non si limitano a un solo linguaggio, ma hanno nel loro sfondo semantico qualcos’altro a cui riferirsi: un’altra lingua. Babele non aveva problemi a vivere e prosperare, fintantoché i suoi abitanti non condivisero la stessa sostanza verbale; ci pensò un Signore dispettoso, il solo Verbo, a confondere le parole, disperdendone le genti.

Migliaia di anni e qualche mito più tardi, i fatti parlano di 7000 lingue presenti nel mondo (dati riferiti al 2022 – di cui solo 2300 sparse per il continente asiatico). Settemila madri per otto miliardi di persone, un’esplosione costruita sulla geografia del pianeta – isolamenti, conformazioni del territorio – e sull’anatomia del corpo umano, che porta pronunce e inflessioni a diversificare suoni, accenti, fonemi. E poi tutto si mescola: perché gli esseri umani hanno bisogni e ispirazioni, e il senso della scoperta ci porta ad attraversare la Terra per speranza e disperazione, sentendoci addosso questa lingua madre data per scontata, e che invece sa di casa.

Sembrerebbe che tutto porti a una difesa di quell’unica lingua madre, che ci identifica e ci lascia protetti, di fronte allo scorno di non riuscire a comunicare un linguaggio diverso. Però, sussiste un però: la sacralità del movimento, qualsiasi esso sia, che contrassegna e distingue la vita dalla morte, l’evoluzione dalla stasi. Un giorno, all’università, qualcuno mi disse, non ricordo se professore o studente – “una lingua – come il latino – è morta non perché non è più usata nel parlato comune, ma perché perde l’occasione di evolvere”, rimanendo cristalizzata nelle sue regole codificate.

Il latino fu una lingua materna, che si prestò a essere “ingravidata” da altre lingue, “barbare”, dando vita a quelle che conosciamo come lingue romanze: italiano, francese, spagnolo, portoghese, rumeno. A sua volta, anche il latino discese dal ceppo indoeuropeo, e chissà quali e quante sorelle ha sparse, nel continente euroasiatico; sorelle a loro volta sperse e instillate in quanti, di quei 7000 linguaggi ad oggi “viventi”.

Allora, mi piace pensare a ogni lingua materna, e che ogni lingua possa essere paterna, nei confronti di un’altra; che possa ricevere e al tempo stesso inseminare di nuovi vocaboli, di suoni e modi di dire, un linguaggio venuto da lontano, o un parlante giunto vicino. Ogni interazione tra lingue diverse, una condizione di possibilità di concepire un significato diverso, tra madre e padre di lingua, con il quale tratteggiare il mondo; quantomeno il nostro, nella nostra cerchia sociale. Poiché siamo animali sociali, che vivono e muoiono come qualsiasi altro ma si differenziano per un aspetto: la narrazione.

Che sia allora la giornata della lingua materna, e delle lingue paterne. Della proprietà di linguaggio e del divertimento nello scovare nuovi termini, collegamenti etimologici, di riscoprirsi persone diverse perché parlanti di una lingua diversa, che ci svela diversamente passionali, o pragramatici, o caotici, o affascinanti. Degli idiomi che vivono e di quelli che sopravvivono, per simbiosi o parassitismo, nelle vite del mondo.

Buona giornata delle lingue: materne e paterne.

 

di Damiano Martin

 

 

 

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