C’è una cosa che si deve sapere sulla giustizia sociale: è un concetto nobile, sacrosanto. Ma è anche scomodo. È un ideale che tutti amano sventolare come una bandiera, soprattutto in giornate come questa, la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale, quando le dichiarazioni dei politici si gonfiano di parole su uguaglianza, diritti e dignità. Grandi discorsi. Belle promesse. E poi? Poi si spengono le luci, si chiudono i microfoni, e tutto torna come prima.
Dicono che vogliono sradicare la povertà. Bene. Dicono che vogliono garantire pari opportunità a tutti. Benissimo. Ma la verità è che la giustizia sociale non si costruisce con le parole. Non si costruisce con le lezioni digitali o le conferenze stampa. La giustizia sociale è una lotta. Una fatica. E, diciamolo chiaramente, una guerra contro un sistema che da secoli si fonda sulla disuguaglianza.
Guardiamo i numeri. 735 milioni di persone vivono ancora sotto la soglia di povertà estrema, ossia con meno di 1,90 dollari al giorno (Banca Mondiale). 821 milioni di persone soffrono la fame, e in Africa subsahariana il 40% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema. Ogni giorno, circa 10.000 bambini muoiono per cause legate alla malnutrizione.
Poi c’è la parità di genere. Sapete quanto ci vorrà, secondo il World Economic Forum, per colmare completamente il divario di genere nel mondo? 131 anni. Nel frattempo, le donne guadagnano in media 23% in meno rispetto agli uomini per lo stesso lavoro, e una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. In alcuni Paesi, milioni di bambine non vanno a scuola: 129 milioni di ragazze sono tagliate fuori dall’istruzione.
Pensate che l’istruzione sia un diritto garantito? Forse per chi ha un tablet e la fibra ottica. Ma durante la pandemia di COVID-19, 463 milioni di bambini non hanno avuto accesso alla didattica a distanza. In Africa, solo 20% delle famiglie ha una connessione internet. L’istruzione digitale, in questo contesto, non è una soluzione: è una nuova forma di esclusione.
E vogliamo parlare delle disuguaglianze economiche? Il 10% più ricco della popolazione mondiale controlla il 76% della ricchezza globale (Oxfam). Nel frattempo, la metà più povera del mondo – circa 3,6 miliardi di persone – si spartisce meno del 2% della ricchezza totale. Durante la pandemia, i miliardari hanno visto la loro ricchezza crescere di 5 trilioni di dollari in un solo anno. I poveri, invece, sono diventati ancora più poveri.
E poi c’è la crisi climatica. L’80% delle persone sfollate a causa di eventi climatici vive in regioni a basso reddito. Il riscaldamento globale sta facendo saltare ogni equilibrio: l’1% della popolazione mondiale più ricca emette il doppio di CO₂ rispetto al 50% più povero. Eppure, sono sempre i più vulnerabili a pagare il prezzo.
Ma sapete qual è la cosa peggiore? È che tutto questo, oggi, non è più una sorpresa. Sappiamo che esistono queste disuguaglianze. Sappiamo che stiamo costruendo un mondo dove i ricchi vivranno in fortezze dorate mentre il resto della popolazione si arrangia come può. Eppure, restiamo immobili, paralizzati, come se ci fosse sempre un domani per intervenire.
La Giornata Mondiale della Giustizia Sociale dovrebbe essere un momento per scuotere le coscienze. Ma scuoterle davvero. Non serve celebrare la giustizia sociale se non siamo disposti a combattere le cause profonde delle disuguaglianze: la sete di potere, l’accumulo sfrenato di ricchezze, la sistematica esclusione dei più deboli.
La giustizia sociale non è una favola, non è un hashtag, non è un’opzione. È una necessità. Se non cominciamo a costruire un mondo più equo, non ci sarà più un mondo degno di essere vissuto. Non è retorica, è un dato di fatto.
Quindi, oggi, chiedetevi: siete pronti a fare qualcosa di concreto? Perché se non lo siete, allora sarà solo un’altra giornata sprecata. Un’altra occasione persa. E chi pagherà il prezzo? Sempre gli stessi: i poveri, le donne, i bambini senza voce, i popoli dimenticati.
Il mondo non cambierà con i discorsi. Il mondo potrà cambiare solo con l’azione. Siete pronti?
di Isabella Zotti Minici