“Save the trees, save the bees, save the whales, save those snails.”
L’incipit anglo-poetico arriva dal monologo di uno dei più celebri stand-up comedian statunitensi (passato a miglior vita nel 2008): George Carlin. In questo pezzo comico di fine anni Novanta, intitolato su YouTube “Saving the planet”, Carlin se la prende con gli ambientalisti e l’antropocentrismo. In breve: non sarà l’uomo a salvare il pianeta – che ha contribuito a distruggere – ma la Terra stessa si salverà, in autonomia, spazzando via quel soggetto parassitario chiamato “essere umano”. Non solo: per Carlin, “Dio” ha creato l’uomo per uno scopo ben preciso. Produrre plastica. Giunti a questo, il genere umano può anche estinguersi.
“Fa ridere, ma fa anche riflettere”, per usare un cliché verbale. In questo afflato salvifico, ci si dimentica che l’essere umano è più una causa problematica, che una soluzione oggettiva. Dipende, poi, da che punto di vista si guarda il problema. Proviamo un passo indietro, rispetto al monologo di George Carlin: perché la plastica? Quali tipi di benefici ha portato, e quali sono i problemi che effettivamente causa? È la plastica, a causarli, o chi la utilizza? E infine, la più provocatoria delle domande:
E se fosse la plastica a salvare il pianeta?
“La plastica ha già salvato un po’ il mondo, e continua a salvarlo. Il danno è dato dall’errore umano”. A rispondere alla provocazione è MaTech, la divisione ricerca e sviluppo del Parco scientifico-tecnologico di Galileo Visionary District, per voce e pensiero di Valeria Adriani, ingegnere chimico e innovation manager, e Eva Tenan, ingegnere dei materiali, project manager e docente – dal 2019 – per SID, Scuola Italiana Design. Da vent’anni, MaTech si occupa di materiali e tecnologie, dedicandosi alle aziende e ai professionisti che vogliono innovare e trovare alternative a ciò che già impiegano, focalizzandosi sul prodotto finito o semi-lavorato. “MaTech affianca le aziende dal problema tecnico da loro posto – quale materiale innovare – seguendone la ricerca, la selezione, la campionatura e la creazione dei primi prototipi, fino alla pre-industrializzazione. In sostanza, aiutiamo a mettere in opera, in campo industriale, le idee legate al mondo dei materiali”.
La plastica, quindi; “Ha reso più sicuri molti prodotti – conferma la dott.ssa Adriani – da quelli ad uso medicale, come le siringhe, ai packaging alimentari. Sicuri non solo dal punto di vista della fragilità, ma anche contro rischi di contaminazioni batteriche”. Le ingegnere Adriani e Tenan incalzano, poi, sostenendo che “un mondo senza plastica è impensabile, anzi. Il motto ‘No-plastic’ è meno in evidenza, oggi, poiché ci si è resi conto che senza plastica non è possibile vivere; vorrebbe dire eliminare e rinnegare i progressi scientifici e tecnologici degli ultimi 60/70 anni. Basta pensare, per esempio, ai nostri abiti: togli la plastica e resti nudo. La soluzione al problema ‘plastica’ non è toglierla di mezzo, ma ripensare il suo utilizzo, in maniera misurata e mirata, per trovare soluzioni di ri-uso, riciclo e ri-valorizzazione”.
Il “modo giusto” a cui accennano Valeria e Eva era già stato posto, da quest’ultima, in un articolo per Humane World Magazine dello scorso 14 gennaio 2022: la plastica non più come rifiuto, ma come risorsa primaria. “Tramite il riciclo chimico – spiega la dott.ssa Tenan – è possibile recuperare il polimero e riportarlo a una condizione originaria di monomero, senza perdere la qualità della plastica stessa. Ciò permetterebbe di riciclare e ri-produrre nuova plastica, partendo dal rifiuto, e senza attingere dalle risorse petrolifere, in via di esaurimento. Ai progetti pilota di impianti chimici (datati 2020) mancano però gli investimenti, data la loro natura costosa; servirebbero più incentivi per investire in questa nuova forma di riciclo”.
Il riciclo meccanico, dunque – quello che conosciamo ormai tutti, fatto di separazione “manuale” dei rifiuti e di smaltimento settorializzato – può essere aiutato dal riciclo chimico. “La plastica è stata demonizzata proprio a causa delle sue caratteristiche vantaggiose: l’economicità e la leggerezza – spiega la dott.ssa Adriani – poiché il suo basso costo, e la sua facilità di utilizzo, legittima erroneamente le persone ad abusarne. Da qui, ne è sorta una comunicazione denigratoria, ma il punto sta nell’istruzione, nel corretto utilizzo della plastica stessa, e nella presa di responsabilità delle persone, non delle sole aziende produttrici”.
La plastica, tra le altre sue caratteristiche, ha quella di essere un materiale potenzialmente “immortale”. Avrebbe dunque più senso sfruttare questo suo vantaggio, anziché portarsi al riciclo meccanico-chimico? “In realtà è noto che la plastica è uno dei materiali a vita più breve, cioè che perde le sue proprietà, utili in un prodotto, nel giro di alcuni anni. Da qui la conseguenza di elevati volumi di scarto o di rifiuto e l’esigenza, viceversa, di rendere il prodotto più duraturo che, se fatto in plastica, diventa molto difficile. La presunta ‘immortalità’, forse, è riferita alle microplastiche, che in determinati ambienti resistono per tanto tempo; ma quando la plastica diventa micro, non ha alcuna proprietà utile ad impieghi industriali. Dipende sempre dal prodotto di cui stiamo parlando: essere duraturo nel tempo non significa avere un impatto ambientale inferiore; dipende dalla pertinenza del materiale, dato il contesto di utilizzo”.
Tornando al riciclo chimico, il processo potrebbe essere la soluzione al problema plastico nel comparto tessile e dell’abbigliamento. “Il problema, nei vestiti, è che il materiale non è mai puro; il riciclo chimico – continua Valeria Adriani – permetterebbe la cernita delle componenti miste del blend, per ottenere così diversi monomeri e diverse tipologie di plastiche. Quindi, se si vuole riottenere un materiale con buone proprietà, non si può ricorrere al riciclo meccanico, ma solo a quello chimico.”. “È interessante capire – aggiunge Eva Tenan – come sono fatte le cose che ci circondano, perché sono fatte così e non diversamente. Ciò mi ha dato la conoscenza nel e del mondo dei materiali. Grazie a MaTech, ho potuto lavorare in progetti di tutti i settori produttivi, scoprendo che la plastica è applicata ovunque. La provocazione alla prima domanda – continua – è importante: ovviamente la plastica non salverà il mondo, ma impone e stimola una riflessione per prendere consapevolezza del corretto utilizzo della plastica, delle sue potenzialità e delle sue contestualizzazione ambientali”.
La plastica, dunque, salverà il pianeta? Per riprendere la satira sociale di George Carlin, possiamo concludere che forse l’essere umano non salverà la Terra, (la quale ci penserà da sola); forse Dio non ha creato l’uomo per produrre la plastica – ma sarebbe molto divertente pensarlo. Tuttavia, se la plastica inducesse a conoscere meglio gli errori fatti nei confronti dell’ambiente, allora si potrebbe affermare quanto segue: che la plastica può salvare, quantomeno, l’essere umano.
Da chi dipende realmente, poi, lo sappiamo solo noi.
di Damiano Martin