Lo stabilimento Miteni di Trissino (Vicenza) ha inquinato le acque lungo un percorso di oltre 100 chilometri quadrati. La sentenza di primo grado del Tribunale di Vicenza che ha condannato i vertici dell’azienda per l’inquinamento da PFAS nelle province di Vicenza, Verona e Padova è una lezione per l’Italia. Dopo quattro anni di processo 11 persone sono state condannate a 141 anni di carcere. I PFAS che hanno massacrato le acque del Veneto sono sostanze chimiche utilizzate come rivestimenti resistenti all’acqua e alle alte temperature. La Miteni li trattava. Fu uno studio del Cnr a scoprire nel 2013 tracce di fluoruri nelle falde acquifere di intere province. Con il procedimento in Corte d’Assiste a Vicenza l’inquinamento è stato accertato e l’azienda ritenuta responsabile di reati ambientali gravissimi. ” Chi ha inquinato paga per aver avvelenato senza scrupoli il territorio danneggiando non solo l’ambiente, ma anche la salute dei cittadini” commenta Legambiente, in prima fila nelle denunce per inquinamento e parte civile nel processo. Con la sentenza di fatto si conclude uno tra i più grandi processi di inquinamento ambientale italiani; Si apre una speranza. L’acqua potabile contaminata è conseguenza di lavorazioni particolari che non hanno tenuto conto degli scarichi nelle falde. Il territorio veneto è stato studiato a lungo e la lotta contro i PFAS ha assunto una dimensione europea. Nessuno può dire che il Veneto sia l’unica Regione italiana a combattere contro soprusi industriali durati anni e anni. La capacità produttiva delle aziende che trattano sostanze nocive non può essere assunta come movente dei disastri che genera. Ci sono, tuttavia, leggi e norme da rispettare. Regole per gestire correttamente i processi industriali. La Miteni evidentemente non lo ha fatto. Il sistema industriale del Paese è sano e certe comportamenti vanno denunciati. I capi azienda devono interrogare la propria coscienza prima di farsi interrogare dai giudici. Non è un caso che la Corte d’Assise ha stabilito che alle 300 parti civili siano riconosciuti risarcimenti in denaro e 58 milioni di euro vadano al ministero dell’Ambiente. Si apre ora il capitolo della bonifica del sedime inquinato “in un’area di più di 180 km quadrati attraversata da corsi d’acqua superficiali con conseguenze negative per l’ecosistema, la salute e per l’economia produttiva”, dice Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. La sentenza è frutto di un processo durante il quale è stato provato che l’inquinamento da PFAS e da altre sostanze sia imputabile alla gestione,dell’impianto industriale. La dirigenza dell’azienda sapeva ? Per chi ha combattuto la battaglia contro la fabbrica, si, i vertici Miteni erano al corrente. Hanno ignorato il problema ma certamente hanno omesso di comunicare agli enti di vigilanza che le sostanze prodotte a Trissino avevano contaminato la falda acquifera. Si erano disperse nelle acque superficiali nonostante le tecnologie in commercio per contenere queste derive industriali. Quanto alla bonifica, il discorso si sposta sul fronte della Regione che, secondo chi ha vinto la battaglia ambientalista, deve agire sulla prevenzione di eventuali nuovi fenomeni di contaminazione e approvare le aree di salvaguardia nei procedimenti in corso. Non ci vorrà mica un’altra sentenza?
di Nunzio Ingiusto